Le sentenze della Cassazione sul precariato scolastico e la crisi etica e organizzativa della magistratura del lavoro nella tutela dei lavoratori pubblici precari

Vincenzo De Michele

  

  1. Il dialogo diretto tra Corte costituzionale e Corte di giustizia ha rafforzato la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori pubblici precari contro il rifiuto di imparzialità della Cassazione. …………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………..……2
  2. Lo stravolgimento delle regole e della nomofilachia nelle sentenze della Cassazione sul precariato scolastico del 7 novembre 2016……………………………………………………………………… 7
  3. La crisi nel 2012 del processo del lavoro in Cassazione per ragioni “riorganizzative” del contenzioso seriale nei confronti dello Stato…  ……………………………….………………………………13
  4. La distruzione nel 2016 del processo del lavoro in Cassazione per ragioni “riorganizzative” del contenzioso seriale nei confronti dello Stato…………..……………………………………….……31
  5. La pessima “lettura” della giurisprudenza della Corte costituzionale sul concorso pubblico nelle sentenze della Cassazione sul precariato scolastico……………………………………………..37
  6. La sentenza Mascolo della Corte di giustizia e la sleale cooperazione della Cassazione con le Istituzioni europee………………………………………………………………………………………………..48
  7. L’omessa corretta ricostruzione del quadro normativo interno nelle sentenze della Cassazione sul precariato scolastico………….………………………………………………………………………….50
  8. La Corte costituzionale e la Corte di giustizia salveranno l’integrità delle tutele interne e il diritto dei precari pubblici alla stabilità lavorativa?……………………………………………………………………………………………………………………………………………………….. …………..…58
  1. Il dialogo diretto tra Corte costituzionale e Corte di giustizia ha rafforzato la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori pubblici precari contro il rifiuto di imparzialità della Cassazione

La Corte costituzionale ha dato grande dimostrazione di saggezza, equilibrio, capacità di ascolto delle istanze dei lavoratori precari pubblici, salvaguardando le finanze erariali e ricostruendo in modo eccellente e inequivoco un sistema di garanzie eurounitario dei diritti fondamentali in un settore centrale della vita sociale ed economica del nostro Paese.

La sentenza n.187/2016[1]  del Giudice delle leggi presuppone l’analisi del quadro disastroso degli interventi legislativi e amministrativi sul sistema di reclutamento scolastico “straordinario”, che è stata affrontata compiutamente in altra sede, a cui si rimanda[2].

Le tre sentenze della Corte di giustizia del 14 settembre 2016 rappresentano un trittico di complessiva ed esaustiva sintesi della giurisprudenza comunitaria sulla direttiva 1999/70/CE, che ha riguardato prevalentemente se non esclusivamente, ad eccezione della disastrosa sentenza Mangold[3] e della conseguente sentenza Deutsche Lufthansa[4] che ne superò le criticità sulla specifica norma interna tedesca, il precariato pubblico dei principali Stati membri.

Non è casuale che la Corte di Lussemburgo abbia riunito “cronologicamente” giudizi pregiudiziali diversi sul precariato pubblico spagnolo, con aspetti di grave criticità nel sistema di tutele antiabusive e del divieto di discriminazione del tutto simili a quelli causati dalla legislazione italiana sulla flessibilità lavorativa nel pubblico impiego, per deciderli ben oltre i tempi canonici della giustizia comunitaria con tre sentenze “contestuali”.

Infatti, la Corte europea ha atteso la decisione della Corte costituzionale sulla questione della scuola pubblica dopo la sentenza Mascolo[5], cioè ha aspettato il superamento di quel divieto assoluto di “conversione” nel pubblico impiego che aveva espresso, peraltro su una vicenda marginale e limitata rispetto al valore generale che invece è stata ad essa assegnato, nella sentenza n.89/2003 del Giudice delle leggi, censurata dal Tribunale di Genova come in contrasto con la direttiva 1999/70/CE con l’ordinanza di rinvio pregiudiziale nella causa Marrosu-Sardino C-53/04.

Alla fine, hanno avuto ragione i Tribunali di Genova, Rossano Calabro, Trani, Napoli, Aosta e ora Trapani, che con ordinanza del 5 settembre 2016 in causa C-494/16[6] ha nuovamente sollevato pregiudiziale Ue sul precariato pubblico, e sicuramente ha avuto ragione la Consulta nella fondamentale ordinanza di rinvio pregiudiziale sulla scuola pubblica, uscendo trionfalmente dall’agone comunitario e dal dialogo diretto con la Corte di giustizia.

La sentenza “a valenza normativa” n.187/2016 della Corte costituzionale e le sentenze “di sostegno” istituzionale alla stabilità lavorativa de Diego Porras[7], Martínez Andrés e Castrejana López[8], Pérez López[9] della Corte di giustizia[10] costituiscono un combinato disposto che andrebbe applicato con decisione e con fermezza dai giudici nazionali italiani e spagnoli di merito e questo è il momento più difficile, perché chi non ha capito il prima, difficilmente sarà in grado di comprendere il dopo, con particolare riferimento alla sentenza n.5072/2016[11] delle Sezioni unite della Cassazione, che costituisce il trittico dei gravissimi errori di interpretazione della normativa europea, già censurati dall’ordinanza Papalia[12] (per la sentenza n.392/2012) e dalla sentenza Mascolo (per la sentenza n.10127/2012[13]) e ora cassati dalla Corte costituzionale, dal Tribunale di Trapani e dalla Corte di giustizia in meno di due mesi.

Peraltro, «il primato del diritto comunitario e la esclusività della giurisdizione costituzionale nazionale, in un sistema accentrato di controllo di costituzionalità, impongono delicati equilibri» (cfr. Corte cost., sentenza n.187/2016), potranno essere meglio raggiunti dal Giudice delle leggi quando dovrà occuparsi della sanzione effettiva (stabilizzazione) in materia di precariato pubblico sanitario, possibilmente prima che la Corte di giustizia si pronunci sulle questioni pregiudiziali sollevate dal Tribunale di Trapani con l’ordinanza del 5 settembre 2016.

Infatti, questa ritrovata centralità della Corte costituzionale nel dialogo con le Corti sovranazionali è stata colta dal Tribunale di Foggia[14] che, con la recentissima ordinanza del 26 ottobre 2016, ha sollevato la seguente complessa questione di legittimità costituzionale delle norme ostative alla riqualificazione a tempo indeterminato dei rapporti di lavoro a termine successivi dei lavoratori pubblici alle dipendenze di aziende sanitarie:

«Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt.10, comma 4-ter, del D.Lgs. 6 ottobre 2001, n.368, nonché dell’art. 36, commi 5, 5-ter e 5-quater del d.lgs. 30 marzo 2001, n.165, nella parte in cui – in violazione  degli artt. 3, 4, 24, 35 comma 1, 97 comma 3, 101 comma 2, 104 comma 1, 111 comma 2, e 117 comma 1 Cost., in riferimento alle clausole 4, punto 1, e 5, punti 1 e 2, dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a  tempo determinato, alla quale la direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 ha dato attuazione, come interpretata dalla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 26 novembre 2014 nelle cause riunite C-22/13, C-61/13, C-62/13, C-63/13 e C-418/13 Mascolo ed altri – dette disposizioni hanno consentito e consentono senza limiti e misure preventive antiabusive e sanzionatorie l’utilizzazione abusiva dei contratti a tempo determinato per il personale sanitario del Servizio sanitario nazionale, che ha svolto dopo aver superato procedure selettive pubbliche rapporti di lavoro a tempo determinato per più di 36 mesi di servizio presso un’azienda sanitaria, come per i ricorrenti nel presente giudizio; differenziano i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati con la pubblica amministrazione sanitaria, rispetto ai contratti a termine stipulati con datori di lavoro privati, ma anche rispetto ai contratti a tempo determinato stipulati con datori di lavoro pubblici come le Fondazioni lirico-sinfoniche, escludendo senza ragioni oggettive i primi dalla tutela rappresentata dalla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in caso di “applicazione” dell’art.5, comma 4-bis, n.368/2001, che recepiva la Direttiva 1999/70/CE in attuazione dell’art.117, comma 1, della Costituzione.».

Purtroppo, dopo tanti (troppi) errori in subiecta materia, il ruolo della Cassazione come giudice della nomofilachia autentica delle leggi nazionali esce fortemente ridimensionato e svilito.

Si tratta per il Giudice di legittimità di un momento ermeneutico particolarmente difficile e, si spera, “a tempo determinato” (fino al 31 dicembre 2017), causato da chiare “esigenze riorganizzative” del contenzioso seriale nei confronti dello Stato[15] che tendono, con un atteggiamento “negazionista” del nuovo sistema integrato di tutele sovranazionali e costituzionali governato democraticamente e paritariamente dalla Corte di giustizia e dalla Corte costituzionale, a coprire responsabilità decisionali personali extra ordinem dell’attuale vertice della Cassazione.

Si fa riferimento, in particolare, alla reazione della Suprema Corte nelle contestuali decisioni del 7 novembre 2016[16] sul precariato scolastico (sia docenti che personale ata), in aperto contrasto ai principi enunciati in subiecta materia sia dalla Corte costituzionale nella sentenza n.187/2016 sia dalla Corte di giustizia nella sentenza Mascolo e nelle tre sentenze “spagnole” del 14 settembre 2016.

  1. Lo stravolgimento delle regole e della nomofilachia nelle sentenze della Cassazione sul precariato scolastico del 7 novembre 2016

Autorevole dottrina[17], nel suo intervento del 6 novembre 2016 a Lucca[18], richiamando quanto già scritto nel commento critico[19] alla sentenza n.5072/2016 delle Sezioni unite sull’applicazione dell’art.32, comma 5, della legge n.183/2010 come sanzione effettiva in caso di abusivo utilizzo dei contratti a termine nel pubblico impiego, ha condivisibilmente invitato i giudici comuni a “disapplicare” il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte di Cassazione, seguendo l’esempio dell’ordinanza di rinvio pregiudiziale del Tribunale di Trapani del 5 settembre 2016, per cercare altre soluzioni di risarcimento dei danni per equivalente, utili ad evitare che nuovamente la Corte di giustizia ordini ai giudici comuni italiani di applicare i principi comunitari di tutela effettiva.

Particolarmente stigmatizzato durante il predetto intervento è stato il comportamento della Corte di appello di Milano che, nel 2012, ha rigettato con centinaia di sentenze tutte le domande dei supplenti della scuola pubblica finalizzate alla stabilizzazione dei rapporti a tempo determinato successivi e/o al risarcimento dei danni subiti, nonostante fossero già pendenti le questioni di legittimità costituzionale che avrebbero portato il Giudice delle leggi prima all’ordinanza n.207/2013 di rinvio pregiudiziale e poi, dopo la sentenza Mascolo della Corte europea, alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art.4, commi 1 e 11, della legge n.124/1999, con l’accertamento dell’incompatibilità del sistema di reclutamento scolastico con la direttiva europea.

Il giorno dopo, il 7 novembre 2016, la Cassazione ha depositato sette sentenze di sostanziale identico contenuto, tutte in materia di precariato scolastico sia dei docenti che del personale ata, con le quali, come aveva già fatto con la sentenza n.10127/2012, si arroga il potere di risolvere una volta per tutte il problema della sanzione effettiva in caso di abusivo utilizzo dei contratti a tempo determinato nella scuola pubblica.

L’importanza di queste “straordinarie” sentenze sul precariato scolastico viene accompagnata da un contestuale comunicato stampa dell’Ufficio relazioni con i mezzi di informazione della Suprema Corte:

«La Sezione lavoro della Corte di cassazione, all’esito di una approfondita e condivisa riflessione, nell’udienza del 18 ottobre 2016 ha esaminato settantanove ricorsi concernenti il contratto a termine dei precari della Scuola (docenti e personale ATA). Sono già state pubblicate in data odierna le prime sentenze “pilota” (nn. 22552, 22553, 22554, 22555, 22556, 22557, 22558 del 2016), che decidono sette di quei ricorsi, ognuna delle quali riferibile ad una diversa fattispecie paradigmatica. La Corte, con le sue sentenze, ha inteso dettare uniformi linee interpretative in materia, così garantendo, in un fecondo dialogo con la Corte di giustizia europea e con la Corte costituzionale, la piena compatibilità tra diritto nazionale e diritto eurounitario.».

Per la verità, del dialogo con la Corte di giustizia e con la Corte costituzionale non troveremo nessuna traccia nelle sentenze, ma rintraccieremo ampi punti di divergenza e di contrasto.

Il comunicato stampa “finale” del 7 novembre 2016 segue il comunicato stampa iniziale del 25 luglio 2016 del Presidente della Sezione lavoro della Corte che, dopo la sentenza n.187/2016 della Corte costituzionale, ha individuato nell’udienza pubblica del 18 ottobre 2016 la data di discussione di un significativo numero di cause sul precariato scolastico per affrontare tutte le problematiche in subiecta materia.

Prima dell’udienza del 18 ottobre 2016 il Presidente della Sezione lavoro della Corte ha chiesto all’Avvocatura dello Stato, al di fuori dei processi, l’acquisizione dei dati dei lavoratori precari scolastici circa l’eventuale immissione in ruolo e la decorrenza, compresa la “causa” dell’assunzione a tempo indeterminato, se cioè in applicazione della legge n.107/2015 o di concorso o di scorrimento delle graduatorie del doppio canale.

Per sottolineare l’importanza “strategica” delle decisioni che poi verranno per prime depositate il 7 novembre 2016, la Cassazione ha altresì invitato le Corti di appello le cui decisioni non erano state impugnate nei giudizi che sarebbero stati discussi il 18 ottobre 2016 a rinviare le controversie pendenti sul precariato scolastico, in attesa delle illuminanti e definitive pronunce della Suprema Corte “regolatrice” nei processi seriali contro lo Stato.

A distanza di quasi quattro anni e mezzo dalla sentenza n.10127/2012 la Suprema Corte con le sette “sorelle” appena partorite ne richiama integralmente il contenuto motivazionale, rifiutandosi di sollevare le questioni pregiudiziali e costituzionali richieste dai lavoratori pubblici precari della scuola (le prime) o evidenziate dal P.M. (le seconde) e ponendosi deliberatamente contro la decisione Mascolo della Corte di giustizia e la sentenza n.18/2016 della Corte costituzionale, pur simulando di applicarle.

E’ una Cassazione senza regole e senza nomofilachia quella che si propone nelle sentenze del 7 novembre 2016, esecutore materiale delle decisioni governative e difensore strenuo delle sentenze “Canzio”[20] della Corte di appello di Milano del 2012, che punisce i lavoratori con il rigetto di quelle fondatissime domande giudiziali che hanno costretto il legislatore e il Miur ad accelerare il ripristino delle regole del reclutamento stabile nella scuola (salvo la parentesi temporanea e confusionaria della legge n.107/2015).

Secondo la Suprema Corte nelle recentissime sentenze sul precariato scolastico:

  • non si applica il d.lgs. n.368/2001 alla scuola pubblica, come aveva già scritto nella sentenza n.10127/2012, espressamente condivisa, perché il sistema di reclutamento scolastico è speciale e completo ai sensi dell’art.70, comma 8, d.lgs. n.165/2001 e prevale sulla disciplina generale in materia di contratto a tempo determinato (sentenza 22556/2016, punti 13, 37 e 118);
  • continua ad applicarsi per almeno un triennio anche non continuativo come condizione di legittimo ricorso al contratto a tempo determinato per supplenze annuali conferite l’art.4, comma 1, della legge n.124/1999, la norma autorizzatoria delle supplenze fino al 31 agosto del personale scolastico docente e ata su posti vacanti e disponibili, in applicazione analogica dell’art.5, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001 e dell’art.1, comma 113, della legge n.107/2015, pur trattandosi di norma abrogata senza alcuna previsione di “ultrattività triennale” e con efficacia ex tunc dalla sentenza n.187/2016 della Corte costituzionale (sentenza 22556/2016, punti 63-65 e 119);
  • nella scuola pubblica continua ad applicarsi l’art.36, comma 5, d.lgs. n.165/2001 del divieto di conversione nel pubblico impiego e del risarcimento danni in caso di violazione di norme imperative di legge, nonostante la sentenza Mascolo della Corte di giustizia al punto 114 avesse chiarito di aver compreso dalle ordinanze nn.206 e 207 del 2013 della Corte costituzionale e dalle ordinanze di rinvio pregiudiziale del Tribunale di Napoli esattamente il contrario (sentenza 22556/2016, punti 70-75 e 120) e nonostante la Corte costituzionale, in applicazione della sentenza Mascolo della Corte europea, con la sentenza n.260/2015 avesse dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma retroattiva che impediva la conversione a tempo indeterminato dei singoli contratti a termine privi di ragioni oggettive dei lavoratori pubblici precari dipendenti delle Fondazioni Enti lirici;
  • viene dichiarata la compatibilità comunitaria e costituzionale dell’art.4, comma 14-bis, della legge n.124/1999 e dell’art.10, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001 (sentenza 22556/2016, punti 34-37 e 77), le norme ostative alla costituzione a tempo indeterminato dei contratti a termine successivi illegittimi dei supplenti della scuola, affermandone la natura retroattiva “sostanziale” anche se non formale (come aveva già fatto nella sentenza n.10127/2012), nonostante la Corte costituzionale con l’ordinanza n.206/2013 avesse dichiarato inammissibili le ordinanze del Tribunale di Trento per non aver sottoposto a scrutinio di costituzionalità le predette norme ostative all’applicazione della tutela richiesta dai lavoratori ai sensi dell’art.5, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001 e nonostante la Corte di giustizia nella sentenza Mascolo abbia espressamente individuato le stesse norme nel vaglio di incompatibilità comunitaria del sistema di reclutamento scolastico, per aver privato i supplenti docenti e personale ata della sanzione effettiva della stabilità lavorativa, riservata soltanto al pubblico impiego non scolastico (punto 55);
  • vengono qualificate retroattivamente, pur non riconoscendone formalmente la natura di ius superveniens, come “sanzione effettiva”, cioè come misura adeguata a sanzionare definitivamente ed energicamente l’abusivo ricorso ai contratti a tempo determinato nella scuola pubblica (sempre nei limiti della qualificazione di abuso “settoriale” di almeno quattro supplenze annuali anche non continuative) sia le misure di stabilizzazione concretamente realizzate dalla legge n.107/2015 e quelle previste dall’art.1, comma 109, della stessa legge di immissione in ruolo “futura” attraverso il totale scorrimento delle graduatorie ad esaurimento (sentenza 22556/2016, punti 77-84, 88-89 e 121) sia le immissioni in ruolo ante 2015/2016 dei docenti e del personale ata avvenute prima della legge n.107/2015 attraverso gli ordinari strumenti selettivi-concorsuali (sentenza 22556/2016, punti 85-86, 88, 90 e 122);
  • in caso di immissione in ruolo già verificatasi, viene escluso per gli ex precari scolastici docenti e personale ata il risarcimento dei danni nella misura da 2,5 a 12 mensilità inventata dalle Sezioni unite nella sentenza n.5072/2016, ma è consentito “generosamente” agli stessi lavoratori di poter proporre (ex novo, ovviamente), «domanda per risarcimento dei danni ulteriori e diversi rispetto a quelli esclusi dall’immissione in ruolo stessa, con la precisazione che l’onere di allegazione e di prova grava sul lavoratore, in tal caso non beneficiato dalla agevolazione probatoria» di cui alla sentenza delle Sezioni unite (sentenza n.22556/2016, punti 87 e 123);
  • è applicabile la sanzione soltanto risarcitoria dell’art.32, comma 5, della legge n.183/2010 ai docenti non ancora immessi in ruolo, ma con serie “chance” di stabilizzazione ai sensi dell’art.1, comma 109, della legge n.107/2015 attraverso lo scorrimento totale delle gae (sentenza 22556/2016, punti 92 e 124), oppure al personale ata non immesso in ruolo, purchè per entrambe le categorie vi siano state almeno quattro supplenze annuali (sentenza 22556/2016, punti 94-96 e 126);
  • non è configurabile alcun abuso nell’ipotesi di reiterazione di contratti a termine per le supplenze su “organico di fatto” (posti qualificati non vacanti ma disponibili, ai sensi dell’art.4, comma 2, della legge n.124/1999) e per le supplenze temporanee di cui all’art.4, comma 3, della stessa legge, non travolte dalla declaratoria di illegittimità costituzionale della norma sulle supplenze annuali (ultra triennali, nell’interpretazione “aggiuntiva” della Cassazione), salva la prova a carico del lavoratore del ricorso improprio o distorto a siffatte tipologie di supplenze, prospettando non solo la reiterazione ma le sintomatiche condizioni concrete della medesima, negando dunque l’obbligo di specificazione e sussistenza delle ragioni oggettive eccezionali o temporanee di cui all’art.1, comma 1, d.lgs. n.368/2001 e dell’art.36, comma 2, d.lgs. n.165/2001, norme ritenute esplicitamente la prima e implicitamente la seconda non applicabili (sentenza 22556/2016, punti 19-20, 100-102 e 125);
  • infine, viene rigettata l’istanza di rinvio pregiudiziale formulata dai lavoratori ai sensi dell’art.267, comma 3, TUEF come Giudice di istanza, come già fatto con la sentenza n.10127/2012 ma con motivazioni in parte diverse da quella dell’acte claire (che pure ritroviamo camuffato al punto 116 della sentenza 22556/2016) pesantemente sconfessata dalla Corte costituzionale con l’ordinanza di rinvio pregiudiziale n.207/2013 e dalla Corte di giustizia con la sentenza Mascolo, addirittura sostenendo l’inapplicabilità dei principi enunciati dalla Corte di giustizia nella sentenza Martínez Andrés e Castrejana López perché nella fattispecie del precariato pubblico spagnolo ivi esaminata «al divieto di conversione si accompagnava l’assenza di altra misura effettiva per evitare e sanzionare gli abusi», mentre nell’ordinamento interno italiano la misura effettiva, dopo la legge n.107/2015, sarebbe stata introdotta, ricordando altresì la non equiparabilità sanzionatoria tra lavoratori privati e pubblici per l’immanente divieto di conversione (sentenza 22556/2016, punti 105, 109-115).

Pare a chi scrive che le complesse sentenze “pilota” della Cassazione sul precariato scolastico rappresentino la peggior soluzione possibile di un contenzioso seriale nei confronti dello Stato che la stessa Suprema Corte con le sentenze n.392 e n.10127 del 2012 aveva contribuito a far lievitare e che, ora, rischia di alimentarsi in sedi sovranazionali e nazionali diverse da quella della magistratura specializzata e dal processo del lavoro, di cui le  decisioni del 7 novembre 2016 sgretolano i principi fondamentali e i valori portanti di garanzia dei diritti dei soggetti più deboli e di imparzialità e terzietà del giudice naturale.

  1. La crisi nel 2012 del processo del lavoro in Cassazione per ragioni “riorganizzative” del contenzioso seriale nei confronti dello Stato

Per comprendere la gravità degli errori ostinatamente commessi dalla Cassazione nelle ultime decisioni, occorre prendere le mosse dalla “ignorata” ordinanza n.206 del 18 luglio 2013 della Corte costituzionale, contestuale all’ordinanza di rinvio pregiudiziale, e dalle (vane) sollecitazioni ivi contenute del Giudice delle leggi ai giudici nazionali di (ri)proporre le questioni di legittimità costituzionale collegate al sistema di reclutamento scolastico limitandole alle norme che impedivano l’applicazione di una tutela effettiva di stabilizzazione del posto di lavoro, come l’art.4, comma 14-bis, della legge n.124/1999 e l’art.10, comma 4-bis, del D.Lgs. n.368/2001.

Infatti, con l’ordinanza n.206/2013 la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art.4, comma 1, della legge n.124/1999 proposte dal Tribunale di Trento con sei ordinanze[21] in termini identici a quelli dichiarati (invece) ammissibili per le ordinanze del Tribunale di Roma(n.2[22]) e di Lamezia Terme (n.2[23]), queste ultime quattro ordinanze oggetto della richiesta di rinvio pregiudiziale con l’ordinanza n.207/2013[24] e poi decise con la sentenza n.187/2016.

Così ha giustificato la Corte costituzionale il trattamento differenziato (inammissibilità per il Tribunale di Trento; rinvio pregiudiziale per i Tribunali di Roma e Lamezia Terme) di ordinanze con identico contenuto motivazionale e identica norma di legge di cui veniva richiesta la declaratoria di illegittimità costituzionale – art.4, comma 1, della legge n.124/1999 – per violazione degli artt.11 e 117, comma 1, Cost. in relazione alla clausola 5 dell’accordo quadro comunitario sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla direttiva 1999/70/CE:

«considerando….che la generale preclusione della possibilità di trasformare i contratti a tempo determinato nel settore pubblico in contratti a tempo indeterminato è stata specificamente ribadita per il settore scolastico con l’inserimento – previsto dall’art. 1, comma 1, decreto-legge 25 settembre 2009, n. 134 (Disposizioni urgenti per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo per l’anno 2009-2010), convertito con modifiche dall’art. 1, comma 1, della legge 24 novembre 2009, n. 167 – del comma 14-bis nell’art. 4 della legge n. 124 del 1999, secondo il quale i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze di cui ai commi 1, 2 e 3 del medesimo articolo «possono trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato solo nel caso di immissione in ruolo»;

che il successivo art. 9, comma 18, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12 luglio 2011, n. 106 – disposizione della quale fa menzione anche il giudice a quo – nell’aggiungere il comma 4-bis all’art. 10 del d.lgs. n. 368 del 2001, ha previsto che sono esclusi dall’applicazione di quel decreto «i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA, considerata la necessità di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato»;

che la norma ora richiamata ha altresì stabilito che non trova applicazione, al personale scolastico, l’art. 5, comma 4-bis, del medesimo decreto n. 368 del 2001, che è la disposizione in base alla quale, in caso di reiterazione di contratti a termine, fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per un tempo complessivamente superiore ai trentasei mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi, il contratto si considera a tempo indeterminato;

che, pur essendo le due disposizioni rimesse allo scrutinio di questa Corte tra loro diverse – l’art. 4, comma 1, della legge n. 124 del 1999, infatti, prevede solo il conferimento di supplenze annuali su cattedre effettivamente vacanti e disponibili, mentre l’art. 93 della legge prov. Trento n. 5 del 2006 dispone una durata biennale e triennale dei contratti anche su posti «disponibili e non vacanti» – è evidente che entrambe rimangono estranee al problema della possibile trasformazione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato;

che, pertanto, aver sottoposto all’esame di questa Corte le sole disposizioni ora richiamate comporta un’incompletezza della ricostruzione del quadro normativo ed una conseguente inefficacia dell’ipotetica pronuncia di accoglimento ai fini della decisione della domanda giudiziale concretamente posta al Tribunale di Trento.».

Quindi, non affatto vero che la Corte costituzionale abbia escluso l’applicazione del d.lgs. n.368/2001 ai precari della scuola, anzi è successo esattamente il contrario, accogliendo le analitiche ed esaustive argomentazioni nomofilattiche dell’Ufficio del Massimario della Cassazione nella relazione n.190/2012 (v. infra), come risulta al punto 14 della sentenza Mascolo della Corte di giustizia che così sintetizza le posizioni del Giudice delle leggi e del Tribunale di Napoli nelle rispettive ordinanze di rinvio sul diritto interno applicabile: «Secondo le ordinanze di rinvio, il lavoro a tempo determinato nella pubblica amministrazione è altresì soggetto al decreto legislativo del 6 settembre 2001, n. 368, recante attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES».

In base al combinato disposto delle due ordinanze nn.206 e 207 del 2013 del Giudice delle leggi, dunque, tutte le dieci ordinanze di legittimità costituzionale dei Tribunali di Trento (n.6), di Roma (n.2) e di Lamezia Terme (n.2) sull’art.4, comma 1, della legge n.124/1999 (di cui una n.91/2012 sull’art.2, comma 6, della legge n.508/1999, cioè sull’analoga norma prevista per il reclutamento dei docenti dei Conservatori di musica, che comunque rimanda al reclutamento di cui all’art.4 della legge n.124/1999) erano inammissibili, perché proponevano una declaratoria di illegittimità costituzionale della norma che autorizzava le assunzioni con supplenza annuale, per contrasto con la direttiva 1999/70/CE, senza però individuare la sanzione rispetto all’eventuale censura della Corte costituzionale, se non attraverso la generica possibilità di accogliere la domanda di risarcimento dei danni ai sensi dell’art.36, comma 5, del D.Lgs. n.165/2001, nel caso di declaratoria di incostituzionale della norma sul legittimo reclutamento scolastico per supplenze annuali.

Infatti, il presupposto da cui partivano tutti i Giudici nazionali era la mancanza di tutele preventive nel sistema di reclutamento scolastico e quindi l’incompatibilità con la clausola 5, n.1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, ma tale presupposto muoveva da argomentazioni erronee, cioè che il d.lgs. n.368/2001 e, in particolare, la clausola di durata dei 36 mesi di cui all’art.5, comma 4-bis non si applicava al settore scolastico per la sua assoluta specialità, come confermato dalle due norme dell’art.4, comma 14-bis.

Tuttavia, sul punto le ordinanze del Tribunale di Roma e di Lamezia Terme divergevano profondamente da quelle di Trento.

Le prime (che in realtà erano state proposte successivamente a quelle del Tribunale di Trento e ne ricalcavano sostanzialmente l’impianto motivazionale, come detto) ammettevano l’applicazione del d.lgs. n.368/2001 anche al pubblico impiego scolastico, ma ne escludevano gli effetti della riqualificazione a  tempo indeterminato dei rapporti a termine in ragione del divieto di conversione posto dall’art.36, comma 5, d.lgs. n.165/2001, avallato dalla Corte costituzionale con la sentenza n.89/2003 sui collaboratori scolastici e, quindi, sullo stesso sistema di reclutamento scolastico dell’art.4, commi 1 e 11, della legge n.124/1999.

La stessa Corte di giustizia con la sentenza Marrosu-Sardino del 7 settembre 2006[25] aveva optato, inizialmente, per la compatibilità comunitaria prima facie dell’art.36, comma 5 (all’epoca comma 2), d.lgs. n.165/2001 proprio accettando questa ricostruzione giuridica delle norme interne in materia proposta dalla Corte costituzionale e seguita dai Giudici nazionali (cfr. sentenza Marrosu-Sardino, punto 55).

La Corte comunitaria, nella ricostruzione del diritto interno applicabile alle fattispecie di causa, precisa che l’art. 10 del d. lgs. n. 368/2001 contiene una lista di casi in cui è esclusa l’applicazione della nuova regolamentazione relativa ai contratti a durata determinata e che nessuno di tali casi riguarda l’amministrazione pubblica (sentenza Marrosu-Sardino, punto 13).

Viceversa, le sei ordinanze del 2011-2012 del Tribunale di Trento escludevano tassativamente l’applicabilità del d.lgs. n.368/2001 sulla base di un argomento erroneo, e cioè che l’art.70, comma 8, primo periodo, d.lgs. n.165/2001 estendeva le norme del decreto anche al settore della scuola, ma il d.lgs.n.368/2001 non era citato tra le fonti regolative del contratto a tempo determinato, dal momento che l’art.36, comma 2, d.lgs. n.165/2001 nella versione trascritta dal Tribunale di Trento citava ancora la legge n.230/1962.

Non si era accorto il Tribunale di Trento, purtroppo, che il d.lgs. n.368/2001 era stato inserito al posto della legge n.230/1962 dal Governo Berlusconi con decorrenza dal 25 giugno 2008, con le modifiche introdotte dall’art.49 del d.l. n.112/2008, nella nuova versione dell’art.36, comma 2, d.lgs. n.165/2001.

Insomma, il Tribunale di Trento affermava la totale inapplicabilità del d.lgs. n.368/2001 a conferma dell’integrale inadempimento del legislatore nazionale nel recepire la direttiva 1999/70/CE per il settore scolastico, nonostante la Corte di giustizia al punto 48 della ordinanza Affatato del 1 ottobre 2010[26] avesse valutato applicabile a tutto il pubblico impiego, e quindi anche a quello scolastico, la sanzione della trasformazione a tempo indeterminato dei contratti a termine successivi al superamento dei 36 mesi di servizio anche non continuativi con mansioni equivalenti, recependo le espresse indicazioni del Governo italiano al punto 67 delle osservazioni scritte dell’Avvocatura dello Stato.

Il Tribunale di Trento, come quelli di Roma e Lamezia Terme, infatti, si era affidato sul punto ad autorevole dottrina[27], che aveva neutralizzato gli effetti dell’ordinanza Affatato, (a giudizio di chi scrive) filosoficamente rilevando che l’affermazione della Corte di giustizia sull’adeguatezza sanzionatoria dell’art.5, comma 4-bis, d.lgs. n. 368/2001 era un obiter dictum, un’affermazione incidentale senza alcun valore sostanziale.

Per avvalorare questa apodittica interpretazione della ordinanza Affatato della Corte di giustizia, il Governo Berlusconi ha immediatamente inserito con l’art.9, comma 18, del d.l. 13 maggio 2011, n.70 (convertito con modificazioni dalla legge n.160/2011) l’art.10, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001, che ha escluso le supplenze scolastiche dal campo di applicazione dello stesso d.lgs. n.368/2001 soltanto con decorrenza dal 15 maggio 2011:

«Stante quanto stabilito dalle disposizioni di cui all’articolo 40, comma 1, della legge 27 dicembre 1997, n.449, e successive modificazioni, all’articolo 4, comma 14-bis, della legge 3 maggio  1999,  n.  124,  e  all’articolo  6,  comma  5,  del  decreto legislativo  30  marzo  2001, n.165, sono altresì esclusi dall’applicazione del presente  decreto i   contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle  supplenze del personale docente ed ATA, considerata la necessità di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo  anche  in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA con  rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato. In ogni  caso non si applica l’articolo 5, comma 4-bis, del presente decreto.».

Come è noto, inoltre, per neutralizzare le questioni di legittimità costituzionale proposte dal Tribunale di Trento con le prime due ordinanze di legittimità costituzionale sul precariato scolastico del 27 settembre 2001 nn.283 e 284, ed impedire la proliferazione del contenzioso sul risarcimento dei danni per abusivo ricorso ai contratti a tempo determinato nel pubblico impiego, con sentenza n.392/2012 del 13 gennaio 2012 la Cassazione fissava il principio di diritto che era onere esclusivo del lavoratore quello di provare il risarcimento del danno subito in caso di abusivo ricorso al contratto a termine nel pubblico impiego e che il d.lgs. n.368/2001 e, in particolare, l’art.5 sui contratti successivi non si applicava ai lavoratori precari pubblici, non operando la conversione in contratto a tempo indeterminato, come sarebbe stato confermato dall’ordinanza Affatato della Corte di giustizia, che ovviamente (almeno per chi scrive) afferma l’esatto contrario. Il Relatore della causa si rifiutava di scrivere e firmare la decisione.

La sentenza n.392/2012 della Cassazione è stata “protetta” nella sua filosofica affermazione di compatibilità della disciplina nazionale con l’ordinamento Ue dalla relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2011 del 26 gennaio 2012, che a pag. 18 richiama la sentenza del 20 settembre 2011 della Corte EDU nel caso Ullens de Schooten e Rezabek c. Belgio, secondo cui il mancato adempimento dell’obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia previsto per gli organi di ultima istanza dall’art. 267 TFUE non dà luogo ad una violazione dell’art. 6 par. 1, della Cedu quando sia fornita adeguata motivazione dalla Cassazione del mancato rinvio.

Il che equivale, implicitamente, ad affermare che è sufficiente per il Giudice di ultima istanza motivare il rifiuto di adempiere all’obbligo di rinvio pregiudiziale, come avverrà con la sentenza n.10127/2012, a prescindere dalla fondatezza della motivazione, esattamente come ha fatto la Cassazione nelle sentenze del 7 novembre 2016.

E infatti, con decreto del 1 marzo 2012 l’allora Presidente della Corte di appello di Milano ha riorganizzato i ruoli di udienza della Sezione lavoro della Corte di appello per n.1080 cause definite “seriali” del contenzioso scuola e di Poste italiane, di cui n.420 cause di stabilizzazione e/o risarcimento danni e/o anzianità di servizio dei docenti precari della scuola pubblica, da decidere entro il 31 dicembre 2012 secondo un apposito calendario, assegnandole per la trattazione in udienze tematiche a rotazione a Giudici Relatori della stessa Corte di appello non inseriti nell’organico della Sezione specializzata ma del ruolo civile, che non si erano mai occupati di controversie di lavoro.

A tempo di record sono state così decise in data 11 maggio 2012 da un Collegio composto anche da magistrati togati specializzati, ma con la presenza nei Collegi come Relatori soltanto di Giudici non specializzati, ben 90 cause di stabilizzazione e/o risarcimento dei danni e/o anzianità di servizio di docenti supplenti del MIUR, con esito totalmente negativo per i lavoratori precari senza riconoscimento di alcun diritto, ivi compresa l’anzianità di servizio che invece in precedenti decisioni la CDA di Milano in composizione ordinaria aveva riconosciuto.

Le sentenze vengono tutte depositate in data 15 maggio 2012 e risultano scritte dal dott. Canzio sia formalmente (n.30) sia sostanzialmente, perché nelle altre 60 redatte formalmente dagli altri Giudici non specializzati si fa espresso richiamo interno alla decisione “pilota” dell’allora Presidente della Corte di appello di Milano, che però presiedeva un altro Collegio.

Il giorno stesso del deposito delle 90 sentenze negative dei docenti MIUR in data 15 maggio 2012, Presidente ed Estensore un Giudice non specializzato, la CDA di Milano – Sezione lavoro con sentenza n.839/2012 ha cambiato nel dispositivo, rigettando il ricorso del lavoratore, l’orientamento favorevole ai lavoratori della stessa Corte di appello sulla successione dei contratti a tempo determinato di Poste italiane ai sensi dell’art. 2, comma 1-bis, d.lgs. n.368/2001 con la sentenza n.505/2010, nonostante i 2/3 dei componenti dei Collegi della CDA di Milano nelle sentenze nn.505/2010 e 839/2012 fossero identici e identiche le fattispecie di due contratti acausali del 2007 e del 2008.

La protesta della Corte di appello di Milano – Sezione lavoro rispetto all’ingerenza del Presidente della stessa Corte sui processi in corso portava il giorno dopo, 16 maggio 2012, con sentenza n.860/2012, depositata l’11 giugno 2012, la CDA meneghina a confermare l’orientamento della sentenza n.505/2010. La Corte di appello di Milano ribadiva che l’art.5, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001 si applicava soltanto a decorrere dal 1° aprile 2009 e quindi non aveva né letteralmente né logicamente natura retroattiva.  La sentenza negativa per il lavoratore n.839/2012 della CDA di Milano veniva depositata soltanto in data  19/7/2013, dopo ben 14 mesi.

La Corte di appello di Milano – Sezione lavoro tornava anche al precedente orientamento sul riconoscimento dell’anzianità di servizio del personale supplente scolastico, favorevole per i lavoratori prima dell’era Canzio.

Infatti, anche la Cassazione in una delle sentenze del 7 novembre 2016 sul precariato scolastico[28] riconoscerà il diritto alla progressione economica e all’anzianità di servizio del personale della scuola assunto con contratti a tempo determinato, enunciando questo condivisibile principio di diritto: «La clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva 99/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai CCNL succedutisi nel tempo. Vanno, conseguentemente, disapplicate le disposizioni dei richiamati CCNL che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato.».

Nel contempo, in Cassazione si tentava di porre un argine alla deriva autarchica del diniego di ogni tutela del precariato pubblico scolastico e di Poste, organizzando un Convegno il 14 giugno 2012 su “Il lavoro a termine nelle pubbliche amministrazioni: profili discriminatori”, svoltosi proprio nell’Aula Magna della Suprema Corte, organizzato da Rivista giuridica del lavoro, Magistratura democratica e Agi Lazio, presieduto dal dott. Sergio Mattone. In quella sede tutti i relatori sostennero che la Corte di giustizia aveva affermato principi opposti a quelli affermati nelle sentenze della Corte di appello di Milano sul precariato scolastico, in direzione di un rafforzamento della tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori pubblici precari.

Puntualmente, sei giorni dopo la Cassazione con sentenza n.10127 del 20 giugno 2012, fissando a tempo di record dopo soli cinque mesi dall’iscrizione a ruolo della causa la discussione del ricorso, confermava la linea “Canzio” sul diniego assoluto di tutele antiabusive per i supplenti della scuola pubblica, affermando che il sistema di reclutamento scolastico era legittimo e compatibile con l’ordinamento comunitario e con le sentenze Angelidaki[29]  e Kücük[30] della Corte di giustizia e diffidando i Giudici nazionali a non rivolgersi alla Corte di Lussemburgo per chiedere chiarimenti, perché la sentenza Ullens de Schooten e Rezabek c. Belgio della Cedu, secondo la Suprema Corte, consentiva il legittimo e motivato rifiuto del rinvio pregiudiziale.

Come nelle ordinanze del Tribunale di Trento e come ribadirà nelle sentenze del 7 novembre 2016, la Cassazione nella sentenza n.10127/2012 ha affermato l’inapplicabilità del d.lgs. n.368/2001 con un gioco di prestigio giuridico, facendo cioè sparire il primo periodo dell’art.70, comma 8, d.lgs. n.165/2001 e il richiamo interno all’art.36, comma 2, dello stesso decreto, in modo tale da occultare il richiamo al d.lgs. n.368/2001 che in quest’ultima norma era espressamente contenuto. Il malcapitato docente a cui è stato negato ogni diritto è un insegnante I.T.C. che aveva superato i 36 mesi nella scuola pubblica, cui è stata negata per sempre ogni tutela per aver negato la legge n.107/2015 ogni possibilità di immissione in ruolo a questa categoria di docenti abilitati con vari anni di precariato.

Contestualmente a questo percorso di politica giudiziaria di negazione della tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori pubblici precari, con  circolare del 14 maggio 2012 n.65934 il Ministero della Giustizia è intervenuto ad interpretare le disposizioni contenute nell’art.37 D.L. n.98/2011 in materia di spese di giustizia, accentuando la alterazione del giusto processo già resa manifesta dalla gratuità fiscale concessa a tutte le pubbliche amministrazioni dall’art.158 D.P.R. n.115/2002[31].

In particolare, da quel momento si è affermata illecitamente e contra legem la prassi amministrativa secondo cui, per tutti i processi concernenti le controversie individuali di lavoro o rapporti di pubblico impiego, nonché per le controversie di previdenza ed assistenza obbligatorie dinanzi alla Corte di Cassazione, è obbligatorio versare sempre il contributo unificato di € 1.036,00 (inizialmente era di 900,00), mentre tale contributo non è affatto dovuto se il ricorrente lavoratore non supera il reddito “personale” (e non del nucleo familiare) annuale di € 34.585,23, quale risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi; nel caso di superamento del reddito individuale, invece, andrebbe versato (soltanto) il contributo di € 518 se ci manteniamo nello scaglione delle cause di valore indeterminabile (art.13, co.1, e art.9, co.1-bis, D.P.R. n.115/2002).

Tuttavia, la relazione n.190 del 24 ottobre 2012 del Massimario della Cassazione[32], avente ad oggetto “Il precariato scolastico e la tutela dei diritti nella disciplina e giurisprudenza comunitaria e nazionale, tra esigenze di specialità e principio di eguaglianza”, ha smentito dopo pochi mesi le conclusioni della sentenza n.10127/2012 della stessa Corte di legittimità, che aveva commissionato al Centro studi della Suprema Corte proprio la “coerenza” interpretativa della sentenza antiprecari della scuola pubblica, dopo le censure mosse in dottrina: «La Sezione Lavoro di questa Corte ha chiesto a questo Ufficio di approfondire, nell’ambito della disciplina dei contratti a tempo determinato nel comparto della scuola pubblica, i principi giurisprudenziali comunitari in materia di  abuso dei contratti a termine, tenuto conto della natura pubblicistica del servizio, del principio di assunzione mediante concorso e della esistenza di una specifica disciplina di settore, nonché in materia di non discriminazione (con particolare riferimento al trattamento retributivo ed agli scatti di anzianità).».

Infatti, così ha concluso l’Ufficio del Massimario della Cassazione nella relazione n.190/2012:

«Sulla base dell’esame della giurisprudenza comunitaria e delle pronunce nazionali su richiamate, e tenuto conto dei rilievi critici della dottrina, sembra di potersi pervenire ai seguenti punti.

La normativa generale del d.lgs. n. 368 del 2001 e la direttiva sono applicabili anche al lavoro pubblico a termine ed anche, salvo esclusioni espresse, ai lavoratori a termine della scuola: in tal senso, le assunzioni con violazione di norme imperative non possono dar luogo alla costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze della pubblica amministrazione (ex art. 36 del d.lgs. 165 del 2001).

Peraltro, il rapporto dei precari della scuola è oggetto di una disciplina specifica (e speciale) sotto vari aspetti, e si evidenziano in particolare, tra gli altri: la tipizzazione legislativa delle diverse tipologie di supplenze, della loro durata, delle modalità di attribuzione, e la funzionalizzazione rispetto alle esigenze, spesso continuative e permanenti, della continuità del servizio didattico; la costituzione di rapporti di lavoro (anche a tempo indeterminato) sulla base di procedure non concorsuali che hanno nelle graduatorie permanenti il loro epicentro (tanto che sia le assegnazioni degli incarichi temporanei di insegnamento, sia la gran parte delle immissioni in ruolo, avvengono attingendo alle medesime graduatorie); l’inapplicabilità, legislativamente disposta, della sanzione della conversione in rapporti a tempo indeterminato dei rapporti di lavoro a termine durati oltre 36 mesi, anche nell’ipotesi di protrazione di rapporti a termine legittimamente stipulati in origine.

La reiterazione oltre 36 mesi del rapporto di lavoro del personale non di ruolo assunto in relazione alla posizione nelle graduatorie permanenti è connaturata al sistema nazionale e, formalmente, è legale, ma non sembra in linea con la disciplina comunitaria, sicché occorre risolvere il conflitto fra ordinamenti secondo i principi generali come evidenziati dalle indicazioni derivanti in materia dalla giurisprudenza comunitaria.

Al di là della portata della clausola 5 dell’accordo quadro (che è applicabile verticalmente, verso lo Stato e gli organi statali), la conversione del rapporto non è un rimedio -comunitariamente necessario- all’abuso del termine, potendo essere adottati dallo Stato, per il raggiungimento dello scopo assegnato dalla direttiva comunitaria, anche altri strumenti tecnico giuridici, sempreché tuttavia­ questi siano specifici strumenti effettivi volti a prevenire l’abuso e a sanzionarlo.

Nella fattispecie in disamina, se non si ammette la conversione del rapporto, l’abuso del termine non avrebbe di fatto alcuna sanzione in quanto il risarcimento del danno, peraltro concretamente difficilmente configurabile e dimostrabile, non riguarderebbe la mancata prosecuzione del rapporto per la scadenza del termine, ma solo il diverso danno eventualmente subito nel passato (difficilmente configurabile se non per i periodi tra un contratto e l’altro, trattandosi di personale regolarmente retribuito), né potrebbe avere carattere sanzionatorio (essendo esclusi i punitive damages nel nostro sistema): va dunque registrato che la clausola 5 è applicabile allo Stato verticalmente e che la conversione del rapporto è l’unico rimedio effettivo che consente di prevenire e sanzionare l’abuso del termine da parte della pubblica amministrazione.

A tale conversione non sembra d’ostacolo l’art. 36 t.u.p.i. su richiamato, nelle ipotesi in cui l’assunzione (pur a termine) è stata legalmente effettuata sulla base delle graduatorie permanenti, atteso che da queste stesse graduatorie secondo la legge (cui rimanda l’art. 97, co. 3, Cost.) si attinge (in parte ovvero, in caso di mancanza di concorsi, in tutto) per le immissioni in ruolo.

Nell’ordinamento scolastico, peraltro, sono state introdotte altre norme speciali che ostacolano (a decorrere dalla loro efficacia, naturalmente) la conversione.

L’art. 4, comma 14-bis, della legge n. 124/1999, introdotto dalla riforma del 2009, secondo un’interpretazione letterale sembra essere ostativa della conversione; la norma, peraltro, potrebbe essere oggetto (ove la relativa operazione ermeneutica non sembri forzata) di interpretazione comunitariamente conforme, venendo ad essere letta come norma escludente -solo- le immissioni in ruolo che non siano realizzate attingendo dalle graduatorie permanenti (restando così ammessa l’immissione in ruolo per effetto di conversione di rapporti sorti sulla base delle dette graduatorie permanenti).

In ogni caso, vi è anche altra norma speciale (art. 9 comma 18 d.l. 13  maggio 2011, n. 70 conv. in  legge 12  luglio  2011,  n.  106, che ha introdotto l’art. 10 comma  4-bis del d.lgs. 368/2001) che esclude l’applicazione dell’art. 5 co. 4-bis del d.lgs. 368 del 2001 (e la conversione in rapporto a tempo indeterminato del rapporto a termine protratto oltre i 36 mesi) -assicurando in sostanza al lavoratore a termine una posizione di “precario a vita”-; tale norma -il cui tenore letterale appare insuperabile e non sembra poter consentire alcuna interpretazione conforme- contrasta con la disciplina dettata dalla direttiva comunitaria,  direttamente applicabile allo Stato (ed in relazione alla quale situazione pendono due procedure di infrazione attivate dalla Commissione europea contro l’Italia), e tuttavia, poiché la clausola 5 non contiene norme incondizionate direttamente applicabili che possano prevalere sulla norma interna (o su entrambe le norme interne suddette, ove si acceda all’altra interpretazione richiamata del comma 14-bis), la conversione del rapporto non può  ammettersi (nei rapporti nei quali la norma in discorso è, ratione temporis, applicabile) se non previa rimozione della norma nazionale confliggente con quella comunitaria, attraverso il giudizio di legittimità costituzionale della norma interna.

Allo stato è pendente questione di legittimità dell’art. 4, comma 1, della legge n. 124 del 1999, ma non anche -per contrasto con l’art. 11 e 177 Cost., in relazione all’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, quale parametro interposto- dell’art. 10, comma  4-bis, del d.lgs. 368/2001, né  dell’art. 4, comma 14-bis, della legge n. 124/1999, norme che sembrano (in particolare la prima, come si è poc’anzi prospettato) le sole che impediscono, per i rapporti soggetti temporalmente al loro ambito di applicazione, la conversione del rapporto e realizzano il contrasto con la disciplina europea.

Infine, va ricordato che il principio di parità di trattamento, che ha effetto diretto, importa -in favore del lavoratore a tempo determinato che non ottenga la conversione del rapporto- la garanzia in ogni caso di pari condizioni retributive (rispetto al lavoratore a tempo indeterminato) ed il riconoscimento degli scatti anzianità, senza la limitazione della norma interna, che dovrà essere disapplicata, in quanto contrastante con il detto principio.».

Del resto, la relazione n.190/2012 dell’Ufficio del Massimario della Cassazione era conforme anche alla posizione assunta dal Governo italiano nei confronti della Commissione Ue e della Corte di giustizia, che la Cassazione prima nella sentenza n.10127/2012 e poi nelle sentenze del 7 novembre 2016 hanno palesemente ignorato, mostrandosi “più realisti del Re” e meno inclini a rispettare e far applicare le regole interne rispetto a quanto, invece, prospettato alle Istituzioni europee dalla difesa erariale.

Infatti, la procedura di infrazione n.2124/2010 della Commissione europea sul precariato pubblico scolastico era stata anticipata dall’interrogazione scritta presentata il 16 aprile 2010 n. E-2354/10 della parlamentare europea Rita Borsellino, che segnalava che – all’epoca – in Italia esistevano più di 70.000 ausiliari tecnici amministravi che si occupavano a diverso titolo del funzionamento della scuola pubblica e che operavano da diversi anni con contratti a tempo determinato, reiterati negli anni, dando vita a una forma di precariato di lunga durata, senza che venissero riconosciuti a questa fascia di lavoratori gli stessi diritti derivanti dall’assunzione a tempo indeterminato.

L’europarlamentare lamentava, dunque, la mancata applicazione della sentenza Adeneler[33] della Corte di giustizia, che aveva addirittura sancito la non applicazione della norma della Costituzione ellenica (art.103) che prevedeva il divieto assoluto di conversione nel pubblico impiego, per contrasto con la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.

Qualche giorno dopo il deposito delle osservazioni scritte del Governo italiano nella causa Affatato C-3/10, che aveva riconosciuto l’applicabilità dell’art.5, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001 a tutto il precariato pubblico anche scolastico[34] e attingendo evidentemente dalla stessa fonte, la Commissione europea, nel rispondere il 10 maggio 2010 all’interrogazione scritta, ha recepito le indicazioni dell’Avvocatura erariale, confermando l’applicazione dell’art.5, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001 e la trasformazione a tempo indeterminato dei rapporti a termine “successivi” di durata superiore a trentasei mesi con lo stesso datore di lavoro anche pubblico, con particolare riferimento alla scuola e al personale ata.

Tuttavia, prudentemente l’Istituzione Ue si era riservata di scrivere «alle autorità italiane per ottenere informazioni e chiarimenti sull’applicazione della normativa italiana agli ausiliari tecnici amministrativi delle scuole pubbliche».

Ricevute informazioni nazionali non positive sul rispetto degli obblighi comunitari nei confronti dei supplenti della scuola e sull’applicazione dell’art.5, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001, la Commissione, dopo l’invio della lettera di messa in mora del 14 marzo 2011, in data 25 ottobre 2012 ha aperto la procedura di infrazione n.2124/2010 prima nei confronti del solo personale ata, estendendola con il parere motivato del 21 novembre 2013 anche al personale docente, per la non corretta applicazione della direttiva 1999/70/Ce, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato nel settore scolastico italiano.

La posizione della Commissione europea era strettamente collegata con gli esiti del giudizio pregiudiziale della causa Affatato C-3/10, in cui il Tribunale di Rossano Calabro[35] aveva anche sollevato alla Corte di giustizia sei specifiche istanze interpretative sul precariato scolastico ai nn.4), 5), 6), 10), 11) e 12):

«4) se la clausola 5 dell’Accordo Quadro recepito dalla direttiva 1999/70/CE ed il principio di uguaglianza non discriminazione ostino ad una disciplina per lavoratori nel settore scuola (cfr. in particolare l’art 4, comma 1, L. n. 124/99 e l’art 1, comma 1, lettera a, del D.M. n. 430/00), che consenta di non indicare la causalità del primo contratto a termine, prevista in via generale dalla disciplina interna per ogni altro rapporto di lavoro a termine, nonché di rinnovare i contratti indipendentemente dalla sussistenza di esigenze permanenti e durevoli, non preveda la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti, nonché normalmente nessuna distanza tra i rinnovi ovvero, nell’ipotesi delle supplenze annuali, corrispondente alle vacanze estive in cui la attività scolastica è sospesa, ovvero fortemente ridotta;

5) se il corpus di disposizioni normative del settore scuola, come descritto, possa ritenersi complesso di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi;

6) se, ai sensi dell’art. 2 della direttiva 1999/70/CE, il D.lgs. n. 368/01 e l’art. 36 del D.lgs. n.165/01 possano ritenersi disposizioni aventi caratteristiche di disposizione di recepimento della direttiva 1999/70/CE in relazione ai rapporti di lavoro a termine nel settore scuola;

10)    se il D.lgs. n. 368/01 e l’art. 36, comma 5, del D.lgs. n. 165/01, costituiscano normativa generale di recepimento della direttiva 1999/70/CE per il personale dipendente dello Stato, tenuto conto delle eccezioni a dette disposizioni generali come definite all’esito della risposta ai quesiti da 1 a 9;

11) se, in mancanza di disposizioni sanzionatorie in relazione ai lavoratori del tipo LSU/LPU e della Scuola come descritti, la direttiva 1999/70/CE ed in particolare la clausola 5, comma 2, lett b, osti alla applicazione analogica di una disciplina meramente risarcitoria, quale quella prevista dall’art. 36, comma 5, del D.lgs. n. 165/01, ovvero se la clausola 5, comma 2, lett. b, ponga un principio di preferenza perché i contratti o rapporti siano ritenuti a tempo indeterminato;

12) se il principio di uguaglianza non discriminazione comunitario, la clausola 4, la clausola 5.1, ostino ad una differenziazione di discipline sanzionatorie nel settore “personale dipendente degli organismi Stato” sulla scorta della genesi del rapporto di lavoro, ovvero del soggetto datore di lavoro, o ancora nel settore Scuola».

Quindi, la risposta che l’Avvocatura dello Stato per conto del Governo italiano ha fornito alla Corte di giustizia al punto 60 delle osservazioni scritte sull’applicazione dell’art.5, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001 riguardava tutto il pubblico impiego interessato dall’ordinanza di rinvio pregiudiziale del Tribunale di Rossano Calabro, soprattutto il precariato scolastico e non solo quello sanitario della fattispecie concretamente delibata dal giudice nazionale. D’altra parte, il legislatore soltanto nel 2011 e nel 2012 ha introdotto l’art.10, comma 4-bis (con l’art.9, comma 18, d.l. n.70/2011), e l’art.10, comma 4-ter (con l’art.4, comma 5, d.l. n.158/2012) del d.lgs. n.368/2001 come norme ostative all’applicazione del decreto attuativo della direttiva 1999/70/CE rispettivamente per i docenti e personale ata della scuola e per i dipendenti sanitari del SSN.

La relazione n.190/2012 dell’Ufficio del Massimario della Cassazione, che della posizione della Commissione nella procedura di infrazione n.2010-2124 era ben a conoscenza, fu segretata dalla Suprema Corte, che respinse come documentazione riservata le richieste di accesso agli atti ai sensi degli artt.22 ss. della legge n.241/1990 promosse subito da alcune OO.SS. firmatarie del Comparto scuola e, addirittura, da alcuni parlamentari della Repubblica italiana.

Naturalmente, come tutti i segreti di Stato che tali non sono (né possono essere per la necessità degli interpreti e dei giuristi di confrontarsi su argomentazioni serie e non su invenzioni giuridiche protettive degli abusi erariali), la relazione Buffa n.190/2012 fu diffusa dallo scrivente (che l’aveva ricevuta attraverso ufficiali canali informatici per aver partecipato come relatore al citato Convegno del 14 giugno 2012 in Cassazione[36]) nell’orbe giuridico italiano ed europeo, in mancanza di obblighi di riservatezza per l’esercizio della libera attività professionale.

La relazione n.190/2012 del Massimario della Cassazione è stata allegata da tutti gli avvocati a tutti gli atti difensivi dei lavoratori precari in Corte costituzionale, in Corte di giustizia e in Corte europea dei diritti dell’uomo, davanti a tutti i giudici “comuni” del lavoro sul territorio nazionale, oltre che nell’ambito della procedura di infrazione n.2010-2124 che la Commissione aveva attivato per l’inadempimento dello Stato italiano all’applicazione della direttiva 1999/70/CE ai precari della scuola, e che avrebbe condotto al parere motivato del 21 novembre 2013.

E’ significativo che la Suprema Corte nelle sentenze del 7 novembre 2016 abbia argomentato sull’inapplicabilità del d.lgs. n.368/2001 dimenticandosi di quanto all’opposto affermato sul punto dalla ben più autorevole (perché conforme al diritto interno anche costituzionale e a quello sovranazionale) relazione n.190/2012 dell’Ufficio del Massimario, che è stata peraltro espressamente richiamata (quindi esiste!) nell’ottima relazione n.137 del 21 ottobre 2015[37] dello stesso Ufficio sugli abusi dei contratti a termine successivi nel pubblico impiego, predisposta quest’ultima in vista dell’udienza di discussione del 1 dicembre 2015 della causa Marrosu-Sardino, decisa con la sentenza n.5072/2016 delle Sezioni unite.

Infatti, coordinandosi perfettamente con i tempi dell’udienza di discussione (18 ottobre 2016) e di decisione delle prime cause (7 novembre 2016) sul precariato scolastico in Cassazione, il Governo Renzi nel decreto legge “ad Canzio” n.168/2016 all’art.1 ha previsto, al di fuori delle regole dell’ordinamento giudiziario e dell’assegnazione degli incarichi ai magistrati da parte del CSM, due nuovi commi dell’art.117 del R.D. n.12/1042, che prevedono l’applicazione temporanea alle sezioni della Corte di cassazione per lo svolgimento delle funzioni giurisdizionali di legittimità, per un periodo non superiore a tre anni e non rinnovabile, a cura (naturalmente) del Primo Presidente della Cassazione, dei magistrati addetti all’ufficio del massimario e del ruolo, con anzianità di servizio nel predetto ufficio non inferiore a due anni e che abbiano conseguito almeno la terza valutazione di professionalità.

E’ come il principio dell’alternanza scuola/lavoro nella riforma di “sistema” della legge n.107/2015: i magistrati addetti all’ufficio del massimario e del ruolo, che evidentemente non producono decisioni perché impegnati a studiare (attività che ora sembrerebbe superflua per i giudici), sono molto più utili come manovalanza per scrivere le sentenze sulla base dei formulari elaborati in base al decreto Canzio del 14 settembre 2016 (v. infra), senza correre il rischio che dei giudici imparziali (seppure non ancora diventati Consiglieri di Cassazione), studiando, capiscano e scrivano in base al diritto interno e nel rispetto della Costituzione nazionale e del diritto sovranazionale e si permettano, così, di censurare le sentenze scritte dalla Corte di legittimità contro lo ius civilis e lo ius gentium e contro ogni logica naturale e umana, soprattutto se provenienti dal futuro (nel 2012) Capo supremo della Suprema Corte.

Purtroppo, la cecità normativa e la miopia interpretativa delle recentissime sentenze sul precariato scolastico sembrano strettamente collegate alla devastante vicenda di alterazione delle regole processuali che ha preceduto le sentenze “Canzio” della Corte di appello di Milano e della Cassazione n.10127/2012 e che ne ha successivamente accompagnato e condiviso l’approdo.

  1. La distruzione nel 2016 del processo del lavoro in Cassazione per ragioni “riorganizzative” del contenzioso seriale nei confronti dello Stato

A tal proposito, va ricordato che il tetto di pensionamento del 70° anno di età (rispetto a quello del 75° anno precedentemente in vigore) era stato fissato per tutti i giudici nazionali della magistratura ordinaria, amministrativa e contabile con l’art.1 (titolato “Disposizioni per il ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni”), comma 3, d.l. n.90/2014, senza alcun regime transitorio.

Il Governo Renzi ha chiaramente mutuato la nuova regola sul pensionamento dei giudici dall’esperienza normativa del Governo Orban in Ungheria, ove l’art.26, comma 2, della legge fondamentale del 25 aprile 2011, senza alcun regime transitorio, aveva disposto che, ad eccezione del presidente della Kúria, i giudici sarebbero andati immediatamente in pensione al raggiungimento del 62° anno di età rispetto al regime pensionistico precedente che prevedeva il tetto dei 70 anni.

Nonostante la declaratoria di incostituzionalità del 16 luglio 2012 dell’Alkotmánybíróság (la Corte costituzionale ungherese), è dovuta intervenire, su impulso della Commissione e con procedura accelerata, la Corte di giustizia Ue con la sentenza del 6 novembre 2012 nella causa C-286/12[38] per la censura definitiva della norma interna, adottata in violazione della direttiva 2000/70/CE.

Nella presa di posizione del 6 ottobre 2012 dell’Avvocato generale Kokott nella causa C-286/12, accolta dalla Corte di giustizia, si stigmatizza al punto 54 il fatto che il repentino pensionamento dei giudici possa far insorgere dubbi circa l’indipendenza e la qualità della magistratura, in violazione dell’art.6, par.1, della CEDU e dell’art.47, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, perché consente di rimuovere dall’incarico i giudici durante il loro mandato, influenzando il sistema giudiziario e peggiorandone l’efficienza (punti 55-57).

La norma interna italiana secondo il metodo “Orban”, nel testo originario, avrebbe provocato, ove applicata immediatamente, il pensionamento entro il 2015 degli attuali vertici della Cassazione, cioè del Primo Presidente, del Presidente aggiunto, del Presidente titolare della Sezione lavoro e del Procuratore generale.

In particolare, l’attuale Primo Presidente sarebbe andato in pensione con decorrenza dal 1° gennaio 2015 come Presidente della Corte di appello di Milano, senza poter concorrere a nessun altro incarico dirigenziale.

Per mostrare, poi, al mondo giudiziario una disponibilità a prorogare l’originario termine “secco” di pensionamento di tutti i magistrati al compimento del 70 anno di età, in sede di conversione con la legge n.114/2014 e con decorrenza dal 19 agosto 2014, su emendamento governativo, l’esecutivo Renzi ha disposto una prima proroga al 31 dicembre 2015 dell’entrata in vigore del detto limite, estesa a tutti i giudici ordinari, amministrativi e contabili, compresi quindi i Giudici della Corte dei Conti, modificando in tal senso l’art.1, comma 3, d.l. n.90/2014.

Anche questa proroga, tuttavia, avrebbe impedito all’attuale Primo Presidente della Cassazione di ricevere ulteriori incarichi rispetto a quelli all’epoca ricoperti, essendo la pensione prevista con decorrenza dal 1° gennaio 2016. L’unica speranza, evidentemente fondata ex ante, era rappresentata da una seconda proroga nel corso del 2015, secondo la nota tecnica del bastone e della carota usata per evidente finalità di ingerenza e condizionamento della magistratura.

Infatti, il Governo Renzi con l’art.18, comma 1, D.L. n.83/2015 ha prorogato di un altro anno fino al 31 dicembre 2016 l’età per il pensionamento dei giudici, limitando la proroga ai giudici ordinari con incarichi direttivi o semidirettivi. La proroga, tuttavia, ha consentito al dott. Canzio[39], salvo per un giorno dal pensionamento con una norma che sembra strutturata su misura per salvaguardarne la continuità professionale, di diventare 1° Presidente della Cassazione il 7 gennaio 2016 a 71 anni già compiuti e per poco meno di un anno di servizio, al momento della seconda proroga.

Non pare un caso che la produzione giurisprudenziale della Cassazione a Sezioni unite nel 2016 sulle grandi questioni del contenzioso seriale sugli abusi contrattuali delle pubbliche amministrazioni e di Poste italiane/Stato sia stata la peggiore a memoria di giurista per qualità etica e interpretativa, in distonia totale con i principi di tutela dei diritti fondamentali enunciati dalla Corte di giustizia e dalla Corte EDU e in totale consonanza con le soluzioni adottate nel 2012 dalla “commissariata” Corte di appello di Milano.

In particolare, con le sentenze n.4911, 4912, 4913 e 4914 del 14 marzo 2016, che hanno cassato con rinvio alla Corte di appello di Genova le sentenze impugnate, che avevano liquidato ai lavoratori precari pubblici venti mensilità di risarcimento del danno quale sanzione antiabusiva, la Cassazione a Sezioni unite si è rifiutata senza motivazione di effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia Ue sulla stessa questione interpretativa poi sollevata dal Tribunale di Trapani con l’ordinanza del 5 settembre 2016 in causa C-494/16 e ha omettesso addirittura la motivazione delle decisioni, per la quale hanno rinviato alla sentenza n.5072/2016, depositata il giorno dopo 15 marzo 2016, con la straordinaria invenzione del “danno comunitario” e dell’applicazione di una norma abrogata, applicata al di fuori del suo campo di applicazione e applicata soltanto nella misura indennitaria e non della costituzione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro[40].

In secondo luogo, con la sentenza n.11374 del 31 maggio 2016[41] la Cassazione a Sezioni unite ha messo il sigillo definitivo negativo al contenzioso Poste sull’art.2, comma 1-bis, d.lgs. n.368/2001, dichiarando legittimi i contratti acausali dell’impresa statale che hanno originato i contratti acausali del Jobs act estesi a tutte le imprese; la Suprema Corte ha applicato retroattivamente – ad una fattispecie di contratti successivi stipulati nel 2007 con intervallo non lavorato inferiore a venti giorni e impugnati con azione giudiziaria promossa sempre nel 2007 – la clausola di durata dell’art.5, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001, norma notoriamente introdotta dalla legge n.247/2007 con decorrenza giuridica dal 1° gennaio 2008 e con decorrenza sostanziale dal 1° aprile 2009 per i contratti a termine stipulati prima dell’entrata in vigore, in quanto tale inapplicabile ratione temporis ad un processo introdotto entro il 31 dicembre 2007.

Anche in questo caso, le Sezioni unite si sono rifiutate senza credibile motivazione di accogliere le istanze di rinvio pregiudiziale proposte nel ricorso della lavoratrice, due delle quali coincidevano esattamente con le pregiudiziali già accolte dalla sentenza Adeneler della Corte di giustizia e una delle quali riguardava l’idoneità comunitaria come misura preventiva dell’art.5, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001.

Infine, con la sentenza n.21691 del 27 ottobre 2016[42] la Cassazione a Sezioni unite, come nel caso della sentenza n.11374/2016 dell’applicazione retroattiva dell’art.5, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001 a fattispecie processuale e sostanziale antecedente alla sua entrata in vigore, ha applicato una norma abrogata e senza disciplina transitoria che ne consenta l’ultrattività – cioè il famigerato art.32, comma 5, della legge n.183/2010 – ad una fattispecie processuale del datore di lavoro “pubblico” (RAI) in cui la nuova sanzione retroattiva era entrata in vigore dopo la pubblicazione della sentenza di 2° grado e prima del ricorso per cassazione e, quindi, la decisione impugnata davanti alla Suprema Corte non avrebbe mai potuto tener conto della nuova disposizione sanzionatoria.

Ovviamente, la nuova Corte della “necrofilia giuridica” o della “metanomofilachia archeologica” non ha tenuto in nessuna considerazione il giudizio di contrasto con le clausole 4, n.1, e 8, n.1 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato espresso dalla sentenza Carratù[43] della Corte di giustizia (punti 47-48) in merito all’art.32, comma 5, della legge n.183/2010 e alla sua inapplicabilità ai processi in corso quando il datore di lavoro è lo Stato/Poste, con l’ovvia conseguenza che il contenzioso si sposterà davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione dell’art.6 CEDU, ove già sono stati dichiarati ricevibili alcuni ricorsi (n.22143/2016 di Salvo e Santisi contro Italia e n.11737/2016 D’Aiello contro Italia).

In questo deteriorato contesto giurisprudenziale di diniego o di riduzione significativa della tutela effettiva dei diritti fondamentali dei lavoratori pubblici precari si colloca la terza proroga ad personas dell’età per il pensionamento, destinata, questa volta, a favorire soltanto alcuni giudici di vertice della Cassazione e, in particolare, il Primo Presidente[44].

Infatti, invece di aderire alla proposta dell’ANM di ripristinare come regime ordinario per il pensionamento di tutti i giudici l’età di 72 anni, con norma d’urgenza approvata con d.l. 31 agosto 2016, n.168, al dichiarato fine di assicurare il rapido smaltimento del contenzioso pendente in Cassazione secondo il metodo “Canzio”, il Governo Renzi all’art.5[45] ha limitato il differimento al 31 dicembre 2017 del collocamento a riposo soltanto in favore degli incarichi apicali, direttivi superiori e direttivi in servizio presso la Cassazione, consentendo così al Primo Presidente, per un solo giorno, di differire al compimento del 73° anno lo stato di quiescenza personale (e di pace sociale rispetto alla frenesia riorganizzativa).

Nelle more della conversione in legge del d.l. n.168/2016 lo stesso Canzio con decreto del 14 settembre 2016 ha dettato le disposizioni per l’elaborazione delle sentenze in forma semplificata nel settore civile da parte dei Giudici della Cassazione, con obbligo per i Presidenti di Sezione di controllare il numero delle sentenze adottate da ciascun Giudice in forma semplificata, ai fini della valutazione di professionalità.

Sempre nelle more della conversione in legge del d.l. “ad Canzio” e nonostante il parere negativo sia dell’ANM che del CSM sulla discriminazione operata, la Camera dei deputati ha approvato l’emendamento governativo che modifica gli artt.375, 376, 377, 379, 380-bis, 380-ter, 390, 391, 391-bis c.p.c., e introduce addirittura l’art.380-bis.1 (cioè un articolo “bis bis”) c.p.c., così incidendo profondamente nella struttura regolatrice del processo civile in Cassazione, espungendone l’avvocatura per la fase orale nella gran parte delle controversie, destinate alla camera di consiglio senza la presenza delle parti e del P.M. dinanzi alla sezione semplice (art.380-bis.1 c.p.c.) e per la decisione delle istanze di regolamento di giurisdizione e di competenza (art.380-ter c.p.c.).

Il 19 ottobre 2016 il d.l. n.168/2016 è stato convertito in legge (l. n.197/2016) con voto di fiducia al Senato, nonostante le durissime critiche all’ingiustificato privilegio del differimento dell’età per il pensionamento, riservato soltanto a pochissimi giudici di vertice della Cassazione (e del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, che non avevano beneficiato della seconda proroga) e la palese discriminazione nei confronti degli altri magistrati.

 Questo è il contesto “riorganizzativo” del processo in Cassazione e del ruolo stesso della Suprema Corte sulle controversie seriali di lavoro nei confronti dello Stato, in cui sono maturate le sette perle delle decisioni della Sezione lavoro sul precariato scolastico depositate il 7 novembre 2016 nello scrigno (ora) nebuloso della (ex) giustizia nomofilattica.

Non si può pretendere, dunque, che non vi fosse una difesa d’ufficio della sentenza “Canzio” n.10127/2012 della Cassazione.

Che cosa altro si può aggiungere a commento di decisioni che hanno valenza esclusivamente di politica giudiziaria e non contengono neanche i fondamentali minimi del diritto positivo italiano e dei principi costituzionali, comunitari e convenzionali, palesemente violati?

Il contrasto più grave del decisum della Cassazione sul precariato scolastico, in realtà, appare proprio nei confronti della sentenza n.187/2016 della Corte costituzionale, anche se la Suprema Corte si ostina, per negare la conversione a tempo indeterminato dei contratti a termine nel pubblico impiego anche in un settore come quello scolastico in cui il reclutamento a tempo determinato è disciplinato secundum legem, a richiamare del tutto a sproposito la sentenza n.89/2003 della Corte costituzionale.

  1. La pessima “lettura” della giurisprudenza della Corte costituzionale sul concorso pubblico nelle sentenze della Cassazione sul precariato scolastico

La “lettura” e l’applicazione della giurisprudenza della Corte costituzionale sull’art.97, comma 3 (ora comma 4), Cost. da parte della Cassazione nelle sentenze sul precariato scolastico è pessima, incompleta e di grande superficialità, con massime più consoni ad un linguaggio scritto da social network che a quello che ci si aspetta dalla Corte regolatrice della nomofilachia.

Va preliminarmente ricordato che l’inciso e ultima parte dell’art.97, comma 4, Cost. consente testualmente le deroghe («salvo i casi stabiliti dalla legge») alla regola del concorso, seppure legislativamente disposte.

Infatti, con la sentenza n.81/1983[46] la Corte costituzionale ha legittimato la discrezionalità del legislatore di ricorrere all’assunzione nel pubblico impiego con modalità diverse da quelle concorsuali, salvo il rispetto del criterio della razionalità dell’intervento: «non può negarsi al legislatore un’ampia discrezionalità nello scegliere i sistemi e le procedure per la costituzione del rapporto di pubblico impiego e per la progressione in carriera; il limite a questa discrezionalità è dato essenzialmente dall’art. 97, primo comma, Cost., dal quale discende la necessità che le norme siano tali da garantire il buon andamento della P.A.; il che, per quanto attiene al momento della costituzione del rapporto d’impiego, consiste nel far sì che nella P.A. siano immessi soggetti i quali dimostrino convenientemente la loro generica attitudine a svolgere le funzioni che vengono affidate a chi deve agire per la P.A. e, per quanto attiene alla progressione, consiste nel valutare congruamente e razionalmente la attività pregressa del dipendente, sì da trarne utili elementi per ritenere che egli possa bene svolgere anche le funzioni superiori. A tal fine lo stesso art. 97, terzo comma, ritiene che il sistema preferibile per la prima ammissione in carriera, e cioè per l’accertamento della predetta generica attitudine sia quello del pubblico concorso: ma non lo eleva a regola assoluta, lasciando libero il legislatore di adottare sistemi diversi, purché anch’essi congrui e ragionevoli in rapporto al fine da raggiungere ed all’interesse da soddisfare.».

In perfetta coerenza con il precedente di dieci anni prima, la stessa Corte costituzionale con la sentenza n.266/1993[47] aveva dichiarato illegittima una norma della Regione Sicilia che aveva previsto un concorso riservato per figure professionali, il cui accesso stabile alla pubblica amministrazione era invece regolamentato dalla norma statale dell’art. 16 della l. n. 56/1987, cioè per il tramite degli (ex) Uffici del lavoro.

Questo orientamento non cambia, anzi si approfondisce, quando il Giudice delle leggi si occupa del reclutamento pubblico scolastico e, in particolare, della disciplina prevista dal testo unico sulla scuola di cui al D.Lgs. n.297/1994.

Con l’ordinanza n.251/2002 la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art.36, comma 8, D.lgs. n.29/1993 su fattispecie di docenti precari, utilizzando argomentazioni identiche rispetto a quelle che saranno proposte – su fattispecie di collaboratori scolastici precari – nella sentenza n.89/2003, in cui ha dichiarato infondata la pregiudiziale costituzionale dell’art.36, comma 2, D.lgs. n.165/2001, norma identica a quella delibata nel precedente giudizio.

La Corte contestava, infatti, al giudice del rinvio (Tribunale di Torino) di aver apoditticamente affermato che i rapporti di lavoro a tempo determinato con la pubblica amministrazione siano, a seguito della intervenuta privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, disciplinati esclusivamente dalla legge n. 230 del 1962, facendo «discendere, da un lato, la (pur implicita) qualificazione dei contratti a termine stipulati dall’amministrazione con i ricorrenti come contratti contra legem e, dall’altro, la valutazione di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma denunciata in quanto preclusiva, per i soli dipendenti delle pubbliche amministrazioni, della possibilità di trasformazione dei rapporti a termine stipulati in violazione degli artt. 1 e 2 della legge n. 230 del 1962 in rapporti di lavoro a tempo indeterminato», senza farsi carico dell’esistenza di una articolata disciplina speciale delle supplenze annuali e temporanee nella scuola, contenuta nell’art.4 della legge n.124/1999, e omettendo qualsiasi riferimento alla citata disciplina e al rapporto in cui la stessa si porrebbe con la legge n. 230/1962, ritenuta applicabile nel giudizio a quo.

Qualche mese dopo, con la sentenza n.89/2003 per i collaboratori scolastici precari la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.36, comma 2, D.Lgs. n.165/2001, attestandosi così, dopo la contrattualizzazione del pubblico impiego, sulla posizione granitica della salvaguardia del principio del pubblico concorso ex art.97, comma 3, 1ª parte Cost. come modalità principale e prevalente di accesso al reclutamento stabile nel pubblico impiego, affermando la legittimità del divieto di conversione dei contratti flessibili enunciato nella norma del testo unico sul pubblico impiego sottoposta allo scrutinio di costituzionalità, in caso di violazione di norme imperative di legge in materia di reclutamento e di impiego.

L’ordinanza di rimessione del Tribunale di Pisa sui collaboratori scolastici (che richiama proprio, a sostegno della declaratoria di illegittimità costituzionale, l’art.97, comma 1, Cost. e l’esigenza che i rapporti di lavoro siano stabili perché l’amministrazione pubblica sia efficiente), come quella del Tribunale di Torino sui docenti precari, interviene in un momento in cui la Direttiva 1999/70/CE era stata già recepita dal D.lgs. n. 368/2001, anche se la regolamentazione normativa dei contratti a termine era ancora quella della previgente disciplina interna.

La Corte costituzionale con la sentenza n.89/2003 sembrava aver ripudiato precedenti letture interpretative dell’art.97, commi 1 e 3, Cost., parendo ignorare il fatto che le norme sottoposte al vaglio di legittimità costituzionale rientravano nell’ambito di applicazione del diritto comunitario, affermando che il principio fondamentale in materia di instaurazione del rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è quello, del tutto estraneo alla disciplina del lavoro privato, dell’accesso mediante concorso, enunciato dall’art. 97, comma 3, Cost.

Sembrava che, così argomentando, la Consulta avesse invaso anche il campo interpretativo della Corte di giustizia, mettendo in discussione delicati equilibri istituzionali e costituzionali (era già intervenuta anche la modifica dell’art. 117 Cost., con la legge costituzionale 3/2001).

Su questo rilievo di incompatibilità con la direttiva 1999/70/CE della decisione della Corte costituzionale n.89/2003 si era mosso, del resto, il Tribunale di Genova nell’ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo nella causa C-54/04 Marrosu-Sardino, sollevando «un conflitto di tipo costituzionale», perché il giudice del rinvio ha osservato che «tale sentenza è stata pronunciata senza riferimento alle disposizioni costituzionali che garantiscono il rispetto, all’interno dell’ordinamento giuridico italiano, degli impegni derivanti dall’ordinamento giuridico comunitario. A suo avviso, ammettere l’applicazione del decreto n. 165 ai fatti del caso di specie solleva il problema del rispetto della direttiva 1999/70» (v. conclusioni dell’Avvocato generale Poiares Maduro nelle cause C-54/04 e C-180/04, punto 8).

Pareva effettivamente un revirement della giurisprudenza costituzionale, almeno rispetto alla sentenza di venti anni prima n.81/1983 a Costituzione “invariata” e, anzi, rafforzata dalla necessità per il legislatore statale, non solo di godere della ragionevole discrezionalità nel disporre assunzioni stabili nella pubblica amministrazione, ma anche di poterlo fare in ottemperanza agli obblighi comunitari della direttiva 1999/70/CE e della normativa interna di attuazione.

In realtà non è così, e il giudizio sulla sentenza n.89/2003 della Corte costituzionale sul divieto di conversione a tempo indeterminato dei rapporti a termine abusivi dei collaboratori scolastici va rivisto, alla luce del combinato disposto della sentenza Mascolo della Corte di giustizia e della sentenza n.187/2016 del Giudice delle leggi, che pure intervengono su fattispecie di precariato anche di collaboratore scolastico, tuttavia totalmente diversa da quella esaminata dal Tribunale di Pisa nel giudizio principale poi rimesso al Giudice delle leggi per l’incidente di costituzionalità.

Infatti, nella fattispecie di causa del giudizio principale dell’ordinanza di legittimità costituzionale del Tribunale di Pisa del 7 agosto 2002 n.467/2002 Reg.ord. (pubblicata su G.U. n.33 del 30 ottobre 2002), si verteva sulla posizione lavorativa n.9 ex dipendenti a tempo determinato del Comune  di  Pisa, inseriti nelle graduatorie ex art. 16 della legge n.56/1987 presso l’ente locale per l’assunzione a tempo indeterminato o a tempo determinato, che erano transitati all’Amministrazione statale in base all’art.4 della legge n.124/1999 con contratti a termine stipulati nel gennaio 2000 e successivamente  prorogati senza soluzione di continuità fino al 31 agosto 2002 per oltre due anni.

I collaboratori scolastici ivi ricorrenti chiedevano al Giudice del lavoro in via principale il riconoscimento del rapporto a tempo indeterminato ab origine ai sensi dell’art.2, comma 2, della legge n. 230/1962, denunciando l’assenza dei presupposti per una legittima apposizione  del termine.

Tuttavia, nell’ordinanza n.467/2002 del Tribunale di Pisa il Giudice del rinvio affermava che nè i ricorrenti nè l’amministrazione statale costituita nel giudizio principale avevano prodotto tra gli atti di causa i contratti a termine “successivi” e che non era dato conoscere al magistrato del lavoro sulla base di quali presupposti fossero stati stipulati nella fase transitoria di passaggio del personale ATA dagli enti locali allo Stato, con contratti però stipulati ex novo dall’amministrazione scolastica, e che l’amministrazione scolastica non aveva provato in giudizio nè tantomeno richiesto di provare che i collaboratori scolastici ricorrenti “abusati” continuativamente per oltre due anni fossero stati chiamati a ricoprire posti non vacanti e disponibili nè aveva provato e neppure chiesto di provare quali fossero le esigenze di servizio e la loro prevedibile durata.

Dunque, i 9 collaboratori scolastici del giudizio definito in via incidentale dalla Corte costituzionale con la sentenza n.89/2003 non erano stati assunti con “legittime” supplenze per il tramite della graduatoria permanente provinciale del personale ata con profilo professionale di collaboratore scolastico gestita dall’allora Provveditorato agli studi di Pisa, ai sensi dell’artt. 581 e 582 D.Lgs. n.297/1994, e, in conseguenza, i contratti a termine, stipulati al di fuori del legittimo ed esclusivo sistema di reclutamento scolastico delle supplenze all’epoca in vigore (prima della declaratoria di incostituzionalità dell’art.4, commi 1 e 11, della legge n.124/1999 da parte della Corte costituzionale nella sentenza n.187/2016), erano effettivamente illegittimi in quanto in violazione di norme imperative di legge per vizio genetico del contratto di lavoro, come la stessa Consulta aveva già precisato con l’ordinanza n.251/2002 per i docenti supplenti nel dichiarare inammissibile la questione sollevata dal Tribunale di Torino.

Pertanto, è possibile argomentare che nel giudizio definito dalla sentenza n.89/2003 il Giudice delle leggi, per quanto riguarda l’obbligo di concorsi pubblici riferito all’assunzione stabile dei collaboratori scolastici, si riferisse alla specifica modalità di accesso ai ruoli di cui all’art.554 D.Lgs. n.297/1994 (richiamata al punto 29 della sentenza n.22556/2016 della Cassazione), attraverso concorsi provinciali per titoli, indetti annualmente nei limiti delle vacanze dell’organico dai provveditori agli studi sulla base di un’ordinanza ministeriale, riservato al personale ata con profilo professionale di collaboratore scolastico con almeno due anni di servizio presso l’amministrazione scolastica e, in quanto tale, inserito in apposita graduatoria provinciale c.d. di 1ª fascia.

Quindi, è profondamente ingiusto, discriminatorio e insensato, in guisa tale da sconfinare nella malafede intellettuale, quanto affermato dalla Cassazione nelle sentenze del 7 novembre 2016 sulla necessità (anche) per il personale ata di avere almeno quattro supplenze annuali anche non continuative perché si configuri l’abusivo ricorso ai contratti a termine da parte della pubblica amministrazione scolastica, dal momento che in base alla legge sono sufficienti due anni di servizio anche con supplenze temporanee per maturare il diritto all’inserimento nella graduatoria di 1ª fascia e, quindi, ad essere assunto a tempo indeterminato tramite scorrimento della graduatoria.

E’ evidente che la supplenza annuale fino al 31 agosto di ogni anno scolastico, per il personale ata come e più che per i docenti, manifestava una situazione di carenza strutturale di organico che poteva essere colmata soltanto con l’immissione in ruolo, impedita di fatto dal Miur per la mancata applicazione di norme di legge.

Infatti, va dato atto all’Avvocatura dello Stato di non aver mai sostenuto nelle memorie ex art.378 c.p.c. che la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art.4, commi 1 e 11, della legge n.124/1999 non era sufficiente a configurare una situazione abusiva di ogni singola supplenza annuale, ma semplicemente che l’abuso accertato dalla Corte di giustizia e dalla Corte costituzionale era stato sanato completamente dall’immissione in ruolo del personale assunto con la legge n.107/2015 (e soltanto per quello assunto con il piano straordinario con decorrenza dall’anno scolastico 2015/2016).

Quindi, ancora una volta, la Cassazione è stata molto più realista del suo sovrano (l’Esecutivo), inventandosi l’ultrattività antiabusiva dei quattro anni “minimi” di supplenza annuale di una norma dichiarata illegittima e, addirittura, estendendo questa nuova clausola di durata, che ovviamente non fa altro che far retroagire arbitrariamente e illecitamente gli effetti dell’art.1, comma 131[48], della legge n.107/2015 (norma richiamata dalla Corte costituzionale nella sentenza n.187/2016 al punto 14.1 soltanto per chiarire che, dall’entrata in vigore della clausola di durata massima, era venuta meno la situazione di inadempimento alla direttiva 1999/70/CE dell’Italia per la mancanza di misure preventive antiabusive rilevata dalla Corte di giustizia nella sentenza Mascolo), anche a quelle situazioni di reclutamento per concorsi riservati in cui le condizioni di accesso stabile erano e sono significativamente inferiori sia per periodo minimo di servizio che per tipologia delle supplenze utili a far maturare il diritto all’inserimento nella graduatoria permanente per l’immissione in ruolo.

Dopo la sentenza n.89/2003, la Corte costituzionale con la sentenza n.41/2011, in termini con l’ordinanza n.251/2002, ha continuato a dichiarare conforme all’art.97, comma 3, Cost. il meccanismo di reclutamento dei docenti previsto in via “ordinaria” dall’art.399, commi 1-2, D.Lgs. n.297/1994, fondato sul sistema del c.d. “doppio canale” (sentenza Mascolo, punto 89[49]) e, per quanto riguarda le supplenze, dall’art.4, commi 1-3, della legge n.124/1999: «si evince che la scelta operata dal legislatore con la legge n. 124 del 1999, istitutiva delle graduatorie permanenti, è quella di individuare i docenti cui attribuire le cattedre e le supplenze secondo il criterio del merito».

In buona sostanza, la fattispecie decisa dalla Corte costituzionale con la sentenza n.187/2016 e, in precedenza, esaminata nell’ordinanza n.207/2013 di rinvio pregiudiziale, in cui il collaboratore scolastico Romano (ordinanza n.144/2012 Reg.ord. del Tribunale di Roma) aveva prestato servizio per n.47 mesi su un periodo di 4 anni (v. sentenza Mascolo, punto 37) in virtà di legittime supplenze annuali o temporanee conferite dal MIUR ai sensi degli artt.581 e 582 D.Lgs. n.297/1994, è totalmente diversa da quella delibata dal Giudice delle leggi nella sentenza n.89/2003, in cui effettivamente c’era stata una violazione delle norme imperative del reclutamento scolastico, perché evidentemente i collaboratori scolastici erano stati assunti intuitu personae dal dirigente scolastico senza contratto scritto e senza accedere alla competente graduatoria provinciale permanente di I e di II fascia.

Vi è dunque “continuità” (e non discontinuità) della giurisprudenza costituzionale sul sistema di reclutamento dei collaboratori scolastici dalla sentenza n.89/2003 alla sentenza n.187/2016, e, sotto questo profilo, sarebbe stato perfettamente possibile coniugare e contemperare la legittima disciplina delle supplenze di cui all’art.4, comma 1-3, della legge n.124/1999 con l’applicazione dell’art.5, comma 4-bis, D.Lgs. n.368/2001 e la trasformazione in contratto a tempo indeterminato dei contratti a tempo determinato successivi al superamento dei 36 mesi di servizio anche non continuativi presso l’amministrazione scolastica.

Purtroppo, come già precisato, nessun giudice del lavoro ha sollevato l’incidente di costituzionalità sulle due norme che impedivano la tutela effettiva antiabusiva del personale supplente della scuola (art.4, comma 14-bis, legge n.124/1999 e art.10, comma 4-bis, D.Lgs. n.368/2001), di fronte alla scelta scellerata del MIUR di non dare corso a regolari immissioni in ruolo “annuali” dei docenti e del personale ATA utilizzando le procedure ordinarie previste dal D.Lgs. n.297/1994 (e a prescindere dal fatto che, come ammesso dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n.207/2013, non sono stati effettuati concorsi per docenti nell’arco temporale di ben 13 anni dal 1999 al 2012, mentre la Cassazione nella sentenza n.22556/2016 al punto 57 si sforza, incomprensibilmente, di ridurre l’abuso erariale agli anni dal 2000 al 2007), la Corte costituzionale con la sentenza n.187/2016 è stata obbligata a dichiarare l’illegittimità costituzionale “limitata” dell’art.4, commi 1 e 11, della legge n.124/1999, per non precludere a docenti e personale ATA precari anche con una sola supplenza annuale o fino al termine delle attività didattiche priva di ragioni oggettive di poter beneficiare delle misure di stabilizzazione riconosciute ad altri docenti ed altro personale ATA precari in identiche (o addirittura inferiori) condizioni di abilitazione e di servizio.

Quindi, la Cassazione nelle sentenze del 7 novembre 2016 ha palesemente violato l’art.136, comma 1, della Costituzione, applicando ultrattivamente l’abrogato art.4, comma 1, della legge n.124/1999, addirittura pretendendo quattro supplenze annuali per configurare l’abuso contrattuale nonostante, a rigore, il termine triennale per la regolare indizione dei concorsi per docenti nella scuola ai sensi dell’art.399 d.lgs. n.297/1994 fosse scaduto già nel 2003 e l’inerzia amministrativa si sarebbe protratta fino al concorso bandito nel 2012 ed espletato nel 2013.

Va detto, peraltro, che, sul concorso pubblico, la Corte costituzionale aveva già ricevuto precise indicazioni sulla compatibilità comunitaria di altre forme assunzionali stabili extra ordinem.

Infatti, con la sentenza Valenza[50] del 18 ottobre 2012 la Corte di giustizia ha rigettato la tesi del Consiglio di Stato (Presidente Coraggio, l’Estensore della sentenza n.187/2016 della Corte costituzionale), che, di fronte ad una normativa d’urgenza (art.75,  d.l. n.112/2008) che stabilizzava senza concorso i raccomandati precari delle Autorità indipendenti (AGCM) senza conversione in legge e con la stipula dei contratti a tempo indeterminato fatta prima della mancata conversione in legge, si era ribellato al riconoscimento anche del riconoscimento dell’anzianità di servizio.

La Corte di giustizia per la prima volta nella sentenza Valenza ha trascritto al punto 13 l’art.97, comma 3, Cost., rilevando così che nel nostro ordinamento costituzionale è prevista anche l’assunzione senza concorso, in base a mere disposizioni di legge («meri automatismi» o «concorsi riservati», affermerà a distanza di quasi quattro anni la Corte costituzionale nella sentenza n.187/2016).

Inoltre, nelle osservazioni scritte depositate il 25 aprile 2013 relativamente alla causa pregiudiziale Papalia C-50/13 promossa dal Tribunale di Aosta – nell’ambito di un giudizio principale del maestro della banda musicale del Comune di Aosta che lamentava l’abuso contrattuale di quasi trent’anni di ininterrotto servizio precario alle dipendenze della pubblica amministrazione senza possibilità di stabilizzazione del rapporto e senza il risarcimento dei danni negato sul piano interpretativo dalla sentenza n.392/2012 della Cassazione, stante il presunto divieto dell’art.36, comma 5, D.Lgs. n.165/2001 – la Commissione Ue aveva concluso nel senso dell’incompatibilità con la direttiva 1999/70/CE dell’art.36, comma 5, D.Lgs. n.165/2001[51], così modificando la posizione “agnostica” espressa nelle cause Marrosu-Sardino C-54/04 e Affatato C-3/10.

Dunque, la Corte costituzionale era perfettamente al corrente, al momento in cui sono state adottate le due ordinanze nn.206-207/2013, del fatto che, in ambito comunitario, come risulterà pochi mesi dopo con l’ordinanza Papalia della Corte di giustizia del 12 dicembre 2013 nella causa C-50/13, era ormai in via di accertamento definitivo l’incompatibilità con la direttiva 1999/70/CE dell’art.36, comma 5, D.Lgs. n.165/2001 e la totale carenza di tutele antiabusive per tutto il precariato pubblico.

In conseguenza, le condizioni di inammissibilità delle sei ordinanze del Tribunale di Trento erano legate alla sanzione antiabusiva dell’art.5, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001 richiesta dal lavoratore (assistito dagli scriventi) nel giudizio principale della causa incidentale n.31/2012 (identica a quella degli altri lavoratori), in relazione alla quale l’ordinanza n.206/2013 ha riconosciuto «che l’atto di costituzione contiene una dettagliata ricostruzione delle principali pronunce della Corte di giustizia dell’Unione europea su tale argomento, fino all’ordinanza 1° ottobre 2010 (in causa C-3/10, Affatato) ed alla sentenza 26 gennaio 2012 (in causa C-586/10, Kucuk), alla luce delle quali il Russo conclude nel senso che la trasformazione del contratto di lavoro a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato può essere raggiunta disapplicando la normativa interna che vieta tale possibilità per il solo personale della scuola, in tal modo entrando in contrasto con la disciplina comunitaria».

E’ evidente che l’Estensore dell’ordinanza n.206/2013 non escludesse la correttezza interpretativa della lettura – «dettagliata ricostruzione» – che era stata proposta dalla difesa del  lavoratore in merito alla giurisprudenza comunitaria dall’ordinanza Affatato alla sentenza Kucuk, e che andava in direzione opposta rispetto all’interpretazione delle stesse pronunce fatta dalla Cassazione nelle due sentenze del 2012, anche per quanto riguarda l’assunta inapplicabilità del d.lgs. n.368/2001.

In conseguenza, la Corte costituzionale il 18 luglio 2013 ha risposto in due modi. Da un lato con l’ordinanza n.206/2013 ha riconosciuto l’applicazione del d.lgs. n.368/2001 anche al pubblico impiego scolastico (come evidenziato dalla sentenza Mascolo al punto 14), sconfessando la posizione assunta dalla Cassazione nella sentenza n.10127/2012 ma, proprio per questo, non ha potuto accogliere le domande dei lavoratori di applicazione dell’art.5, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001 come se fosse il Giudice della causa, perché vi erano le due norme ostative all’applicazione della tutela, l’art.4, comma 14-bis, della legge n.124/1999 e l’art.10, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001 che non sono state sottoposte a scrutinio di costituzionalità, e ciò non consentiva l’intervento censorio e risolutivo del Giudice delle leggi.

Dall’altro lato, pur essendo palesemente inammissibili anche le ordinanze dei Tribunali di Roma e di Lamezia Terme, le ha riunite e le ha rimesse alla Corte di giustizia con l’ordinanza pregiudiziale n.207/2013, manifestando così alla Corte europea sia l’adesione “etica” e giuridica alle ordinanze pregiudiziali del Tribunale di Napoli sia l’esigenza di rallentare la definizione delle cause pregiudiziali sul precariato scolastico e non scolastico, per consentire all’ordinamento interno e alla stessa Corte costituzionale di trovare le soluzioni senza arrivare alla sentenza definitiva dei Giudici di Lussemburgo.

La Corte costituzionale, dunque, già con le ordinanze nn.206 e 207 del 2013 aveva condiviso le ordinanze pregiudiziali del Tribunale di Napoli e la soluzione della stabilizzazione del precariato pubblico come unica soluzione effettiva contro gli abusi nella successione dei contratti a termine nel caso di legittimo reclutamento nel pubblico impiego, e non aveva condiviso la prospettazione dei Tribunali di Trento, Lamezia Terme e Roma, che escludevano la sanzione della riqualificazione perché ritenevano ancora operante l’art.36, comma 5, del d.lgs. n.165/2001 e il divieto di conversione e puntavano soltanto al risarcimento dei danni, peraltro non quantificati e non quantificabili dalla norma sul piano dell’onere della prova.

In realtà, la Cassazione con le sentenze del 7 novembre 2016 ha inventato una nozione di docente e personale ata “precario” (dove la precarietà coincide con la nozione di abuso contrattuale) che è diametralmente diversa e in contrasto con quella della Corte costituzionale nella sentenza n.187/2016.

A tal proposito, va preliminarmente chiarita quale sia la nozione di docente precario secondo la Corte costituzionale, perché essa non viene precisata nella motivazione nella decisione n.187/2016 (né nelle due ordinanze nn.185-196/2016), ma si può ricavare agevolmente sia dalla precedente giurisprudenza del Giudice delle leggi sia dal dispositivo e dal percorso argomentativo di (vera) archeologia normativa alla ricerca della sanzione adeguata di cui alla sentenza n.187/2016.

Nella sentenza n.260/2015 (totalmente ignorata dalla Cassazione nelle sentenze del 7 novembre 2016) la Consulta ha precisato che «con riguardo ai lavoratori dello spettacolo, la Corte di giustizia ha valorizzato il ruolo della “ragione obiettiva” come mezzo adeguato a prevenire gli abusi nella stipulazione dei contratti a tempo determinato e come punto di equilibrio tra il diritto dei lavoratori alla stabilità dell’impiego e le irriducibili peculiarità del settore (sentenza 26 febbraio 2015, nella causa C-238/14, Commissione contro Granducato di Lussemburgo, che riprende le affermazioni della sentenza della Corte di giustizia, 26 novembre 2014, nelle cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, Mascolo ed altri).».

In definitiva, quindi, secondo la Corte costituzionale i precari pubblici delle Fondazioni lirico-sinfoniche hanno diritto alla conversione a tempo indeterminato del singolo contratto a termine privo di ragioni oggettive, richiamando sul punto la posizione espressa dalla Corte di giustizia nella sentenza Mascolo al punto 92 proprio in relazione alle ragioni oggettive che possono giustificare il reclutamento scolastico:

«A tale riguardo, occorre, innanzitutto, ricordare che, nell’ambito di un’amministrazione che dispone di un organico significativo, come il settore dell’insegnamento, è inevitabile che si rendano spesso necessarie sostituzioni temporanee a causa, segnatamente, dell’indisponibilità di dipendenti che beneficiano di congedi per malattia, per maternità, parentali o altri. La sostituzione temporanea di dipendenti in tali circostanze può costituire una ragione obiettiva ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, che giustifica sia la durata determinata dei contratti conclusi con il personale supplente, sia il rinnovo di tali contratti in funzione delle esigenze emergenti, fatto salvo il rispetto dei requisiti fissati al riguardo dall’accordo quadro (v., in tal senso, sentenza Kücük, EU:C:2012:39, punto 31).».

Questo giustifica la declaratoria di illegittimità costituzionale (limitata all’entrata in vigore della legge n.107/2015) dell’art.4, commi 1 e 11, della legge n.124/1999 delle supplenze annuali fino al 31 agosto dell’anno scolastico su posti vacanti e disponibili, perché prive appunto di ragioni oggettive, che si estende alle supplenze su organico “di fatto” conferite su posti non vacanti ma resisi disponibili fino al 30 giugno dell’anno scolastico (art.4, comma 2, della legge n.124/1999).

Infatti, la programmazione dell’organico di fatto da parte della pubblica amministrazione scolastica, come è costantemente avvenuto dal 1999 ad oggi, è stata impostata sull’occultamento dei posti effettivamente vacanti e disponibili, per impedire la regolare immissione in ruolo del personale docente ed ata secondo le procedure previste dal D.Lgs. n.297/1994 e retribuire così i supplenti assunti fino al termine delle attività didattiche senza riconoscere i mesi di luglio ed agosto, scaricando sul sistema previdenziale privato della disoccupazione ordinaria i mesi di “mancato lavoro” dei docenti e ata precari.

Purtroppo, come ben ha potuto verificare la Corte costituzionale durante la discussione del 17 maggio 2016 nel giudizio definito dalla sentenza n.187/2016, la platea dei docenti “precari” ha finito per essere allargata in modo abnorme dal legislatore della riforma “di sistema” n.107/2015, perché essa è stata estesa, nell’interpretazione della Consulta, a tutti i docenti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento, indipendentemente dal servizio prestato nella pubblica amministrazione scolastica o nelle scuole paritarie [art.1, comma 109, lett.c), della legge n.107], come peraltro era già emerso nella fase “C” del piano straordinario di immissione in ruolo (art.1, commi 95-98, della stessa legge n.107), con migliaia di docenti precari assunti a tempo indeterminato con decorrenza giuridica dal 1° settembre 2015 su posti denominati di “potenziamento” (ma, in realtà, in vasta misura facenti parte dell’organico di diritto “nascosto” dal MIUR) senza un solo giorno di servizio nella scuola pubblica.

  1. La sentenza Mascolo della Corte di giustizia e la sleale cooperazione della Cassazione con le Istituzioni europee

Senza dubbio la Cassazione con le sentenze del 7 novembre 2016 si è rifiutata di applicare i principi enunciati nello ius superveniens della sentenza Mascolo della Corte di giustizia, mutuando l’atteggiamento del premier Renzi che, come evidenziato da tutti i quotidiani nazionali dell’11 novembre 2016 e come stigmatizzato dall’ex Presidente della Commissione europea Romano Prodi, ha fatto sparire la bandiera a 12 stelle dell’Unione europea durante un briefing comunicazione a Palazzo Chigi.

Non ha gradito la Suprema Corte quanto affermato dalla Corte di Lussemburgo ai punti 55, 59-61 della sentenza Mascolo, ove, nel confermare per il pubblico impiego non scolastico l’applicazione dell’art.5, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001 come misura adeguata ed energica a rimuovere l’«illecito comunitario» (espressione utilizzata dalla Corte costituzionale nella sentenza n.187/2016 e nelle due contestuali ordinanze nn.194-195/2016 nel definire la mancanza di almeno una delle misure preventive antiabusive previste dalla direttiva 1999/70/CE), la Corte di giustizia ha sollecitato la leale cooperazione dello Stato (Tribunale di Napoli nella fattispecie concreta della causa Russo C-63/13) nell’adozione della sanzione della stabilizzazione.

Non è stato un caso lo straordinario atto di stile e di dignità del Presidente della Repubblica che, con il decreto n.29/C/2016 di aprile 2016 di cui ha dato informazione soltanto il giornale “Il fatto quotidiano”, ha disposto la stabilizzazione dei precari del Quirinale che hanno superato i 36 mesi di servizio, (testualmente, nel decreto) in applicazione della normativa interna (art.5, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001) e dei principi europei (direttiva 1999/70/CE e clausola 5 dell’accordo quadro), come interpretati dalla giurisprudenza comunitaria (ordinanza Affatato, punto 48; sentenza Mascolo, punto 55), nonostante l’Organo costituzionale non fosse obbligato ad attuarli.

Si trattava di un chiaro segnale, dopo la incomprensibile e ingiusta sentenza n.5072/2016 della Cassazione a Sezioni unite, nella direzione della stabilizzazione di tutti i rapporti precari nel pubblico impiego, rivolto anche alla Corte costituzionale, che avrebbe dovuto decidere le questioni sul precariato scolastico all’udienza del 17 maggio 2016, nell’ambito dei quattro giudizi di legittimità costituzionale già rimessi alla Corte di giustizia con l’ordinanza n.207/2013, di cui il Presidente Mattarella è stato l’Estensore, unitamente all’ordinanza “gemella” n.206/2013.

In quest’ottica di coerente leale cooperazione tra le Istituzioni europee e gli Organi costituzionali nazionali (Presidente della Repubblica e Corte costituzionale) di applicare la sanzione energica della stabilizzazione del precariato pubblico, si colloca appunto l’inesorabile soluzione interpretativa/legislativa che la Corte costituzionale ha adottato con la sentenza n.187/2016 nei confronti del Governo, che sta già costringendo il MIUR a mantenere nei confronti di tutti i precari scolastici (docenti, educatori e personale ATA) gli impegni di stabilizzazione assunti dal Governo Letta già a settembre 2013 e stravolti dal Governo Renzi con la legge n.107/2015, in ottemperanza delle indicazioni che lo stesso Giudice delle leggi aveva fornito con le due ordinanze nn.206 e 207 del 2013 sia al legislatore d’urgenza sia alla giurisprudenza nazionale.

Infatti, dopo la durissima censura della Corte costituzionale nella sentenza n.187/2016 per avere escluso nella legge n.107/2015 il personale ATA dalla sanzione effettiva della stabilizzazione del precariato soltanto per queste categorie professionali della scuola pubblica, il MIUR è stato costretto a disporre l’immissione in ruolo di n.10294 posti di personale ATA, con decorrenza dal 1° settembre 2016 e per l’anno scolastico 2016/2017.

Inoltre, stante la valenza generale del principio della stabilizzazione dei contratti a tempo determinato nel pubblico impiego come unica misura idonea a sanzionare a sanzionare gli abusi nella successione contrattuale, anche per gli educatori degli asili comunali (causa Russo C-63/13 in Corte di giustizia, su cui la Corte si pronuncia espressamente al punto 55 della sentenza Mascolo) è stato disposto dall’art.17 D.L. n.113/2016 (convertito con modificazioni dalla legge n.160/2016) un piano triennale di stabilizzazione del personale precario che ha maturato i 36 mesi di servizio anche non continuativi con concorsi riservati esclusivamente ad essi, così realizzando con tre anni di ritardo quanto già previsto dal Governo Letta con l’art.4, comma 6, D.L. n.101/2013 e quanto già disposto dal Comune di Napoli un anno e mezzo prima in via amministrativa, sulla base delle indicazioni precisissime della sentenza Mascolo nella causa Russo e della conseguente decisione del Tribunale di Napoli, che aveva prontamente stabilizzato in via giudiziale la lavoratrice.

Naturalmente, nelle sentenze della Cassazione sul precariato scolastico del 2016 si ritrova lo stesso atteggiamento di sleale cooperazione nei confronti della Corte di giustizia già presente nella sentenza n.10127/2012, evitando accuratamente di citare (ed applicare) i punti 55 e 59-61 della sentenza Mascolo, l’unico ius superveniens riconosciuto dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n.194/2016.

  1. L’omessa corretta ricostruzione del quadro normativo interno nelle sentenze della Cassazione sul precariato scolastico

 

Le questioni pregiudiziali Ue sollevate dal Tribunale di Napoli e dalla Corte costituzionale avevano come comune denominatore di tutte le fattispecie di causa il superamento dei 36 mesi di servizio ai sensi dell’art.5, comma 4-bis, D.Lgs. n.368/2001 di tutti i lavoratori precari anche nel settore pubblico non scolastico (educatori degli asili nido e delle scuole dell’infanzia degli enti locali, come causa Russo C-63/13), assunti a tempo determinato attraverso un sistema di reclutamento legittimo sulla base di graduatorie, con conseguente domanda giudiziale di stabilizzazione.

I docenti precari con servizio pubblico superiore a 36 mesi che avevano fatto domanda di stabilizzazione nelle cause principali pendenti incidentalmente in Corte di giustizia dopo l’ordinanza n.207/2013 della Corte costituzionale non erano soltanto quelli iscritti in GAE, compresi gli insegnanti tecnico pratici (per i quali la legge n.107/2015 non ha previsto alcuna stabilizzazione), ma anche il personale docente con titolo abilitante PAS o TFA non inseriti nelle GAE perché bloccate nel 2007 e trasformate in graduatorie ad esaurimento, oltre ai diplomati magistrali entro l’anno scolastico 2001/2002 (che il Consiglio di Stato ha riconosciuto ex sé titolo abilitante all’insegnamento), inseriti nella II fascia delle graduatorie di circolo o di istituto per essere in possesso di titolo abilitante all’insegnamento.

Perfettamente coordinandosi con le due ordinanze nn.206-207 del 2013 della Corte costituzionale, il Governo Letta ha predisposto con l’art. 4, comma 6, del decreto legge 31 agosto 2013, n.101 (convertito con modificazioni dalla legge n.125/2013) il piano, originariamente esteso fino al 31 dicembre 2015 nel testo originario del comma e poi portato al 31 dicembre 2016 in sede di conversione,  di stabilizzazione del precariato pubblico anche scolastico, fondato sulla maturazione del servizio anche non continuativo di almeno 36 mesi dei c.d. precari “storici”, attraverso procedure riservate esclusivamente a coloro che sono in possesso dei requisiti di cui all’art.1, comma 519, legge n.296/2006 e all’art.3, comma 90, legge n.244/2007, n. 244, nonché a favore di coloro che alla data di pubblicazione della legge di conversione n.125/2013 hanno maturato, negli ultimi cinque anni, almeno tre anni di servizio con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato alle dipendenze dell’amministrazione che emana il bando, che potevano (e possono fino al 31 dicembre 2016) essere avviate solo a valere sulle risorse assunzionali relative agli anni 2013, 2014, 2015 e 2016 anche complessivamente considerate, in misura non superiore al 50 per cento, in alternativa a quelle di cui all’art.35, comma 3-bis, D.Lgs. n.165/2001 e, per il comparto scuola, applicando la disciplina specifica di settore, cioè l’art.399 D.Lgs. n.297/1994, con validità delle relative graduatorie concorsuali riservate fino al 31 dicembre 2016.

D’altra parte, per il comparto scuola questi concorsi riservati per soli titoli di abilitazione all’insegnamento e di servizio avrebbero ricalcato il precedente impianto normativo dell’art.399 del T.U. sulla scuola, che aveva introdotto il doppio canale basato per il 50% sulle graduatorie concorsuali per titoli ed esami e per il 50% su graduatorie concorsuali per soli titoli, questi ultimi limitati dalle modifiche introdotte dalla legge n.124/1999 soltanto alle scorrimento delle graduatorie permanenti provinciali, poi divenute ad esaurimento nel 2007 (GAE).

Inoltre, l’art.4, commi 3 e 4, D.L. n.101/2013 prevedeva (e prevede), fino al 31 dicembre 2016, che le pubbliche amministrazioni, compresa quella scolastica, potevano (e possono) essere autorizzate all’avvio di nuove procedure concorsuali solo a condizione che le professionalità necessarie da assumere a tempo indeterminato anche secondo un criterio di equivalenza non fossero reperibili con lo scorrimento di graduatorie vigenti, approvate dal 1° gennaio 2007.

In buona sostanza, i docenti in possesso di «titolo di abilitazione all’insegnamento conseguito a seguito sia dell’accesso ai percorsi di abilitazione tramite procedure selettive pubbliche per titoli ed esami, sia del conseguimento di specifica laurea magistrale o a ciclo unico» [cfr. la formulazione testualmente ricavata dall’art.1, comma 114, lett.a), legge n.107/2015, che ha riservato una semplice “preferenza” ai docenti in possesso di titolo PAS o TFA e ai diplomati magistrali, ai fini del concorso 2016, che non è stata inclusa neanche nei tre bandi], inseriti nelle graduatorie di istituto o di circolo di II fascia e che avevano maturato 36 mesi di servizio anche non continuativo nel quinquennio precedente la data di entrata in vigore della legge n.125/2013 avrebbero dovuto essere immessi in ruolo entro il 31 dicembre 2016, prima che il MIUR potesse bandire nuovi concorsi pubblici per le stesse professionalità, nella vigenza comunque delle GAE con l’iscrizione degli idonei delle graduatorie concorsuali.

Per effettuare i concorsi riservati ai docenti abilitati non inseriti nelle GAE con 36 mesi di servizio pubblico scolastico doveva essere utilizzato lo stesso meccanismo di reclutamento per la scuola previsto in via “ordinaria”  dall’art.399, commi 1-2, D.Lgs. n.297/1994, che, come è noto, è fondato sul sistema del c.d. “doppio canale” (sentenza Mascolo, punto 89), che la stessa Corte costituzionale con la sentenza n.41/2011, come già precisato, dichiarò conforme all’art.97, comma 3, Cost.

Subito dopo e coordinandosi con l’art.4, comma 6, D.L. n.101/2013, con l’art.15, comma 1, del D.L. 12 settembre 2013, n.104 (convertito, con modificazioni, dalla legge n.128/2013) il Governo Letta, approfittando degli esiti del concorso bandito con decreto direttoriale del MIUR n. 82 del 24 settembre  2012 per  il reclutamento di personale docente, ha approntato un piano triennale per gli anni 2014-2016 per l’assunzione a tempo indeterminato di personale docente, educativo e ATA, tenuto conto sia dei posti vacanti e disponibili in ciascun anno sia della necessità di coprire il turn over, senza indicare specificamente come modalità di accesso stabile quanto previsto dall’art.399 D.Lgs. n.297/1994, così consentendo al MIUR di determinare anche il contingente dei docenti precari “storici” abilitati ma non inseriti nelle GAE da destinare al concorso “riservato” per soli titoli.

Nel contempo, per sanare l’erronea affermazione della Cassazione nelle sentenze n.392/2012 e n.10127/2012 che il d.lgs. n.368/2001 non si applicasse rispettivamente al pubblico impiego non scolastico e scolastico, il Governo Letta, dal 1° settembre 2013, ha ribadito con l’art.36, comma 5-ter, d.lgs. n.165/2001 che il d.lgs. n.368/2001 si applica a tutte le pubbliche amministrazioni comprese quelle scolastiche, ma la sanzione non può essere quella della trasformazione a tempo indeterminato dei rapporti di lavoro temporanei, in attesa, evidentemente, del perfezionamento dei processi di stabilizzazione del precariato pubblico.

Inoltre, per evitare la reiterazione delle supplenze annuali e dei contratti a tempo determinato privi di ragioni oggettive, al di fuori dei percorsi di stabilizzazione che le pubbliche amministrazioni avrebbero potuto (e dovuto, secondo la Corte costituzionale nella sentenza n.187/2016 come unica sanzione effettiva in grado di rimuovere l’illecito comunitario dell’abuso nell’utilizzo dei contratti a tempo determinato) attivare, il Governo Letta, sempre a decorrere dal 1° settembre 2013, ha introdotto anche l’art.36, comma 5-quater, d.lgs. n.165/2001, per cui il contratto a tempo determinato anche scolastico privo di ragioni oggettive «esclusivamente temporanee o eccezionali» (art.36, comma 2, D.Lgs. n.165/2001, come modificato sempre dall’art.4 D.L. n.101/2013, che ha sostituito la precedente formulazione «Per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali») è nullo di diritto e non produce nessun effetto.

In particolare, nella circolare n. 5 del 21 novembre 2013 del Ministro per la Pubblica Amministrazione e la Trasparenza precisa «che la sostituzione della congiunzione “e”, che era nel precedente testo, con la “o” non va intesa come tentativo di ampliare lo strumento del lavoro flessibile, ma piuttosto come correzione di una discrasia che presentava la precedente formulazione, discrasia che destava dubbi sulla possibilità di ricorrere al lavoro a termine per esigenze “sostitutive”, in altre parole per quelle tipiche che giustificano il lavoro flessibile. Le esigenze “sostitutive” sono oggettivamente di tipo temporaneo ma non necessariamente di carattere eccezionale, giacché molto spesso prevedibili e programmabili.».

Di questa nuova e più rigorosa regolamentazione della flessibilità nel pubblico impiego troviamo traccia esplicita nella sentenza Mascolo della Corte di giustizia ai punti 92-93[52], dove le ragioni oggettive che giustificano il ricorso al contratto a tempo determinato nel settore scolastico vengono limitate alle sostituzioni per malattia, per maternità, parentali, richiamando sul punto la sentenza Kücük della stessa CGUE, che la sentenza n.10127/2012 della Cassazione e le sentenze “Canzio” della Corte di Milano avevano travisato.

Per ribadire il blocco delle assunzioni a tempo determinato per esigenze non temporanee o eccezionali, sempre l’art.4 del D.L. n.101/2013 ha modificato l’art.36, comma 2, D.Lgs. n.165/2001 aggiungendovi un terzo periodo, che obbligava le pubbliche amministrazioni a prevenire fenomeni di precariato, destinando i contratti a tempo determinato ai vincitori di concorso a tempo indeterminato, così coordinandosi con il divieto di nuove procedure concorsuali per professionalità già inserite in graduatorie vigenti, come previsto dal citato art.4, comma 3, D.L. n.101/2013.

Quindi, per il Governo Letta, con le modifiche all’art.36 D.Lgs. n.165/2001 introdotte dall’art.4 D.L. n.101/2013, le eventuali supplenze annuali e fino al termine delle attività didattiche conferite dai Dirigenti scolastici a decorrere dall’anno scolastico 2014/2015 sarebbero state tutte nulle di diritto, così da depotenziare i prevedibili effetti della pronunzia della Corte di giustizia di incompatibilità della disciplina interna sul reclutamento scolastico a tempo determinato con la direttiva 1999/70/CE (sentenza Mascolo) e la conseguente, inevitabile, declaratoria di incostituzionalità dell’art.4, commi 1 e 11, della legge n.124/1999 (sentenza n.187/2016 della Consulta), limitandoli alle situazioni pregresse fino all’anno scolastico 2013/2014, perché per il futuro già operava il nuovo quadro normativo sulla flessibilità nel pubblico impiego anche scolastico, che vietava – rendendole nulle di diritto – supplenze determinate da carenze strutturali di organico.

D’altra parte, l’art.13 della legge n.270/1982 e l’art.444 D.Lgs. n.297/1994, in vigore e mai modificati dal 3 giugno 1994, fissavano e fissano i criteri di determinazione delle dotazioni organiche del personale docente degli istituti e scuole di istruzione secondaria ed artistica, determinati sulla base dell’accertamento di tutti i posti di insegnamento corrispondenti a cattedre o posti orario, che funzionano all’inizio dell’anno scolastico successivo, tenuto conto del numero delle classi esistenti nell’anno scolastico precedente rilevato al 31 marzo (art.13, comma 8, legge n.270/1982 e art.444, comma 1, D.Lgs. n.297/1994), per cui l’organico di diritto e organico di fatto concidono nel testo unico per le scuole secondarie e nella legislazione speciale, come peraltro regolamentato espressamente anche dall’art.4 del D.P.R. 20 marzo 2009, n.81, che detta le norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola.

Senza dimenticare che il Miur aveva a disposizione anche la possibilità di riattivare le dotazioni organiche aggiuntive nella misura del 5% dell’organico complessivo a livello provinciale, ancora disciplinate dall’art.13 della legge n.270/1982, come peraltro è avvenuto nella previsione dell’art.1, comma 69, della legge n.107/2015, che ripropone, rispetto al nuovo organico dell’autonomia, una ulteriore dotazione aggiuntiva, nonostante il notevole incremento dell’organico di potenziamento con la tabella 1 alla legge di riforma, a dimostrazione del fatto che le supplenze sul c.d. organico di fatto servono soltanto a mascherare posti vacanti e disponibili.

Pertanto, pretendere di legittimare questa illegittima attività amministrativa del Miur come atti di macroorganizzazione e non di mera (mala) gestione dei rapporti di lavoro a livello delle singole strutture provinciali scolastiche, come fa la Cassazione nelle sentenze del 7 novembre 2016 sul precariato scolastico, significa chiudere gli occhi sia sulla realtà fattuale che su quella giuridica, violando il nuovo assetto normativo e organizzativo imposto dalla riforma Letta, che non è stato modificato dalla legge n.107/2015 se non per la previsione di un piano straordinario di immissioni in ruolo che invece doveva essere ordinario per gli anni 2015/2016 e 2016/2017 (art.15 d.l. n.104/2013, richiamato anche al punto 25 della sentenza n.22556/2016 della Cassazione).

La prospettiva per il reclutamento scolastico nella legislazione d’urgenza dell’art.4 D.L. n.101/2013 e dell’art.15, comma 1, D.L. n.104/2013 era quella di eliminare le supplenze non temporanee e destinare tutti i posti vacanti e disponibili, compresi quelli destinati fittiziamente a supplenze fino al termine delle attività didattiche ma in realtà mascheranti carenze organiche, all’immissione in ruolo nell’anno scolastico 2014/2015, così risolvendo il problema del precariato scolastico “effettivo”, attraverso l’ordinario sistema del c.d. doppio canale per gli iscritti alle graduatorie concorsuali ancora vigenti al 31 dicembre 2016 e degli iscritti alle GAE.

Ad essi avrebbero potuto essere aggiunti i docenti precari con oltre 36 mesi di servizio fino alla percentuale massima del 50% delle immissioni in ruolo con la procedura riservata da bandire ai sensi dell’art.4, comma 6, D.L. n.101/2013 e con le modalità dello stesso art.399 D.Lgs. n.399/1994, sulla base di un mero decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università  e  della  ricerca,  di  concerto  con  il  Ministro dell’economia e delle finanze e  con  il  Ministro  per  la  pubblica amministrazione e la semplificazione, dopo aver esperito con le OO.SS. una specifica sessione negoziale concernente  interventi in materia contrattuale per il personale della scuola.

Il quadro normativo di riferimento prima del Governo Renzi era, dunque, ideale per risolvere definitivamente il problema del precariato scolastico “storico”, anche per la vigenza di tre norme che agevolavano sia la ordinaria utilizzazione delle graduatorie ad esaurimento sia lo straordinario ricorso alle graduatorie di istituto o di circolo di II fascia per i docenti con 36 mesi di servizio nella scuola pubblica, senza ricorrere a nessun piano legislativo straordinario di immissione in ruolo rispetto a quello già autorizzato dall’art.15, comma 1, D.L. n.104/2013: l’art. 399, comma 2, D.Lgs. n.297/1994, l’art.400, comma 17, dello stesso T.U. sulla scuola, l’art.4, comma 6, D.L. n.101/2013.

L’art.399, comma 2, D.Lgs. n.297/1994, ancora in vigore dal 25 maggio 1999 anche dopo la legge n.107/2015, dispone testualmente: «2. Nel caso in cui la graduatoria di un concorso per titoli ed esami sia esaurita e rimangano posti ad esso assegnati, questi vanno ad aggiungersi a quelli assegnati alla corrispondente graduatoria permanente. Detti posti vanno reintegrati in occasione della procedura concorsuale successiva.».

L’art.400, comma 17, D.Lgs. n.297/1994, in vigore dal 25 maggio 1999 fino al 15 luglio 2015 (in quanto abrogato dall’art.1, comma 113, lett.h, della legge n.107/2015) così disponeva testualmente: «Le graduatorie relative ai concorsi per titoli ed esami restano valide fino all’entrata in vigore della graduatoria relativa al concorso successivo corrispondente.».

In definitiva, il MIUR aveva la possibilità di attivare il piano ordinario di immissione in ruolo (e la quota parte di concorso riservato) anche nel caso in cui le graduatorie per titoli ed esami fossero esaurite e non consentissero di coprire i posti vacanti e disponibili autorizzati per le assunzioni a tempo indeterminato nella misura del 50 per cento destinati alle procedure concorsuali (anche per i concorsi precedenti al concorso 2012, nel caso in cui la classe di concorso non fosse stata bandita, ai sensi dell’art.400, comma 17, D.Lgs. n.297/1994), per cui i posti residui (ad esempio anche il 49% dei posti assegnati) andavano ad aggiungersi a quelli assegnati alla corrispondente graduatoria permanente (che, per riprendere l’esempio precedente, avrebbero avuto l’assegnazione del 99% dei posti per le immissioni in ruolo: 50% + 49%).

Naturalmente, lo stesso meccanismo avrebbe potuto essere riservato per le (eventuali) immissioni in ruolo da destinare al concorso riservato dei docenti abilitati con 36 mesi di servizio iscritti nelle graduatorie di II fascia di circolo o di istituto, per il richiamo espresso alla disciplina di settore di cui all’art.4, comma 6, ultimo periodo, D.L. n.101/2013.

L’adeguatezza del piano del Governo Letta a risolvere il problema del precariato storico scolastico e, quindi, tutte le criticità evidenziate nelle questioni pregiudiziali pendenti sul punto davanti alla Corte di giustizia, è stata evidenziata anche dall’Avvocatura dello Stato e dagli avvocati dei lavoratori nelle osservazioni scritte ed orali delle cause riunite Ue decise dalla sentenza Mascolo, come ha rilevato l’Avvocato generale Szpunar nella nota n.47 delle conclusioni scritte del 17 luglio 2014, come sanzione adeguata a rimuovere l’inadempimento evidente alla direttiva 1999/70/CE:

«Il governo italiano rileva, a tal proposito, che il diritto nazionale potrebbe offrire delle soluzioni in tal senso, il che sembra confermare le osservazioni di taluni dei ricorrenti nei procedimenti principali nel fare riferimento al recente decreto legislativo del 12 settembre 2013, n. 104. Secondo tali ricorrenti, detto decreto-legge potrebbe consentire la stabilizzazione dei dipendenti del settore scolastico che hanno accumulato periodi di servizio superiori a 36 mesi tramite la loro immissione in ruolo per il periodo 2014-2016.».

Del resto, nella relazione del 24 gennaio 2014 all’inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione l’Avvocato generale dello Stato De Pace ha così precisato sulla questione del precariato scolastico pendente in Corte di giustizia: «è doveroso fare menzione del vastissimo contenzioso instaurato dal personale precario della scuola, e ciò in relazione ad alcune recentissime decisioni della Corte di Giustizia, che prefigurano un quadro non rassicurante in vista della decisione che, quest’anno, la CGUE dovrà prendere sulla specifica problematica italiana. Al riguardo, l’Avvocatura dello Stato non mancherà di sostenere ed evidenziare, in sede comunitaria, le assolute specificità del sistema scolastico nazionale, al fine di evitare una decisione di condanna che potrebbe avere effetti finanziari assai consistenti.».

Di questo quadro normativo innanzi descritto non vi è traccia nelle sentenze della Cassazione del 7 novembre 2016.

  1. La Corte costituzionale e la Corte di giustizia salveranno l’integrità delle tutele interne e il diritto dei precari pubblici alla stabilità lavorativa?

 

Quale nomofilachia autentica delle leggi nazionali si può trovare in decisioni che omettono gli espressi richiami (ancora oggi attuali) al d.lgs. n.368/2001 e alla sua applicazione a tutte le pubbliche amministrazioni, compresa quella scolastica, in virtù del combinato disposto dell’art.70, comma 8, 1° capoverso, e dell’art.36, commi 2 e 5-ter, del d.lgs. n.165/2001?

La Suprema Corte si confonde, evidentemente, con l’art.29, comma 2, lett.c), del d.lgs. n.81/2015, che esclude i contratti a tempo determinato stipulati con il personale docente ed ATA per il conferimento delle supplenze dal campo di applicazione della nuova normativa che disciplina il contratto a tempo determinato, dopo l’abrogazione del d.lgs. n.368/2001 con decorrenza dal 25 giugno 2015. Tuttavia, nello stesso art.29, comma 4, d.lgs. n.81/2015 è precisato che resta fermo (e quindi continua ad applicarsi) quanto disposto dall’art.36 del d.lgs. n.165/2001.

Quale nomofilachia autentica delle leggi nazionali si può pretendere di ricavare da sentenze che, da un lato, affermano doversi applicare il divieto di conversione nel pubblico impiego di cui all’art.36, comma 5, d.lgs. n.165/2001, che palesemente non si applica in presenza di un reclutamento speciale legittimo fino alla declaratoria di incostituzionalità dell’art.4, commi 1 e 14, della legge n.124/1999, mentre, dall’altro, omettono di richiamare e in conseguenza di applicare i due commi dello stesso articolo 36 del d.lgs. n.165/2001, il comma 2 e il comma 5-ter, che invece rimandano espressamente al d.lgs. n.368/2001?

Come si può accettare che la Suprema Corte conservi la propria autorevolezza e la fiducia dei giuristi nell’imparzialità e terzietà della massima Autorità giudiziaria nazionale, quando impone ai giudici comuni l’applicazione “plurima” (per tre supplenze annuali “legittime”, anche non continuative) di una norma abrogata dalla declaratoria di illegittimità costituzionale – l’art.4, commi 1 e 11, della legge n.124/1999 – o l’applicazione come sanzione “residua” e solo indennitaria, per i casi di abusi contrattuali “certificati” dalle norme inventate dalla Cassazione e non “sanati” dall’immissione in ruolo, di altra norma abrogata – l’art.32, comma 5, della legge n.183/2010?

Come si possono pretendere la serietà interpretativa e la condivisione etico-giuridica di arresti giudiziari che affermano la legittimità delle supplenze su organico di fatto fino al 30 giugno su posti non vacanti e disponibili ai sensi dell’art.4, comma 2, della legge n.124/1999 quando, a prescindere dall’applicazione letterale e integrale del d.lgs. n.368/2001 anche alla scuola pubblica, la norma “presupposta” (delle supplenze annuali) nel precedente assetto organizzativo scolastico è stata dichiarata illegittima e quando l’art.36, comma 2, d.lgs. n.165/2001 impone l’eccezionalità o la temporaneità “concreta” delle ragioni oggettive per il legittimo ricorso al contratto a tempo determinato anche nel pubblico impiego scolastico, pena la nullità del rapporto (art.36, comma 5-quater, TUPI)?

Infine, quale credibilità può avere un Giudice di ultima istanza che per ben quattro volte, su questioni delicatissime che attengono all’applicazione della direttiva 1999/70/CE, continua a pretendere di interpretare ed applicare correttamente la giurisprudenza comunitaria, rifiutandosi di operare il rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art.267, comma 3, TUEF, quando nelle prime due occasioni tale atteggiamento è stato stigmatizzato e “cassato” dalla Corte di giustizia (sentenza n.392/2012 con l’ordinanza Papalia e sentenza n.10127/2012 con la sentenza Mascolo) e quando, nel terzo caso, le stesse Sezioni unite con la soluzione del “danno comunitario” della sentenza n.5072/2016 sono giustamente censurate dal Tribunale di Trapani nel giudizio di rinvio pregiudiziale del 5 settembre 2016 sulla nozione comunitaria di equivalenza sanzionatoria?

La bellezza estetica delle sentenze del 7 novembre 2016 della Cassazione sul precariato scolastico è direttamente proporzionale alla bruttezza etica, alla superficialità interpretativa e alla inconsistenza giuridica che esse dimostrano.

Tanti, purtroppo, sono i rimedi sovranazionali e interni che i lavoratori precari (ex e attuali) scolastici, che si ritengono (giustamente) lesi nei loro diritti dai proclami metagiuridici della Suprema Corte, possono attivare.

Non vi è dubbio che la grandissima parte dei giudici di merito si adegueranno al compitino sbagliato redatto dal Giudice di legittimità, a prescindere dalla pendenza delle questioni pregiudiziali Ue sollevate dal Tribunale di Trapani nella causa C-494/16 e dalla questione di legittimità costituzionale sul precariato pubblico sanitario proposta dal Tribunale di Foggia con l’ordinanza del 26 ottobre 2016.

Il 17 maggio 2016 l’avvocatura del libero foro aveva chiesto alla Corte costituzionale una soluzione forte e chiara del problema del precariato scolastico, criticando duramente il caos interpretativo provocato dalla soluzione “minimale” e filosofica della sentenza n.5072/2016 delle Sezioni unite sul danno comunitario.

Sembrava che con la sentenza n.187/2016 e con le due ordinanze nn.194 e 195 del 2016 il Giudice delle leggi quella risposta l’avesse data, nei limiti dei (fortemente insufficienti) quesiti di scrutinio costituzionale sottoposti alla sua cognizione.

Bisognerà, purtroppo, abituarsi alla temporanea assenza della magistratura specializzata, fortemente condizionata ed inquinata dalle frenesie organizzative-interpretative della Suprema Corte sul contenzioso seriale nei confronti delle pubbliche amministrazioni, almeno fino al 31 dicembre 2017, salvo una improbabile quarta proroga del pensionamento dei vertici della Cassazione o salvo una auspicabile (ma altrettanto improbabile) adozione di quella decretazione d’urgenza, che il premier Renzi ha promesso all’ANM all’incontro del 24 ottobre 2016 per spostare il termine per il pensionamento per età di tutti i giudici al compimento del 72° anno di età, così liberando anticipatamente quei posti di vertice che hanno provocato la discriminazione tra magistrati e, soprattutto, il discredito della massima Autorità giudiziaria nazionale.

Il rischio di deflagrazione del contenzioso che era stato paventato dall’avvocatura del libero foro all’udienza del 17 maggio 2016 davanti alla Corte costituzionale a causa della sentenza n.5072/2016 delle Sezioni unite si è ora amplificato dopo le sentenze del 7 novembre 2016 della Sezione lavoro:

  • decine di migliaia di ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo per la flagrante e ormai sistemica violazione delle norme convenzionali da parte della Cassazione;
  • decine di migliaia di nuove controversie giudiziali davanti alla giustizia civile e alla magistratura non specializzata per il risarcimento dei danni subiti dai precari pubblici anche scolastici per la mancata attuazione della direttiva 1999/70/CE da parte dello Stato italiano, a cui certamente immissioni in ruolo successive rispetto all’abuso contrattuale subito non possono costituire una sanzione adeguata e, a rigore, non costituiscono affatto una sanzione, ma, semmai, un adeguamento tardivo;
  • decine di migliaia di nuove cause davanti alla giustizia civile e alla magistratura non specializzata per il risarcimento dei danni subiti dai precari pubblici anche scolastici per la flagrante violazione della direttiva 1999/70/CE, come interpretata dalla Corte di giustizia, per la flagrante violazione dell’art.267, comma 3, TUEF da parte del Giudice di ultima istanza, nonché per la flagrante violazione delle norme interne da parte della Cassazione nelle sentenze “pilota” del 7 novembre 2016, ai sensi dell’art.2 della legge n.117/1988, nel testo modificato dalla legge n.18/2015.

Questa assurda e immanente situazione di caos giudiziario va fermata rapidamente.

Prima che il Collegio lussemburghese si pronunci definitivamente sull’ordinanza pregiudiziale del Tribunale di Trapani, soltanto la Corte costituzionale, nel dialogo fino ad ora fecondo con la Corte di giustizia, può fermare la frantumazione del sistema di tutele eurounitario, che il Giudice delle leggi ha fortemente contribuito a rafforzare anche in Europa con la sua autorevolezza e che non può essere messo in crisi da decisioni che non emanano nessun profumo nomofilattico.

L’ordinanza di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Foggia sul precariato pubblico sanitario costituisce un’ottima occasione per la Consulta per risolvere definitivamente ogni dubbio e ridare certezze agli operatori giuridici, oltre che tutela effettiva ai precari pubblici.

 

[1] Corte cost., Pres. Grossi, Est. Coraggio, sentenza n.187/2016 e ordinanze nn.194 e 195/2016. Sulla sentenza n.187/2016 v. M. Miscione, La fine del precariato pubblico ma non solo per la scuola pubblica, in Lav. giur., 2016, n.8-9, p.745; V. De Michele e S. Galleano, La sentenza “Mascolo” della Corte costituzionale sui precari della scuola, su www.europeanrights.eu, 1 settembre 2016; G. Franza, Giochi di prestigio per i precari della scuola: la Consulta “cancella” l’illecito comunitario, su Mass.giur.lav., n.8-9, 2016, p.615 ss.; A. Paolitto, Il precariato scolastico tra “la buona scuola” e il dialogo “multilevel” delle Corti: l’occasione per un bilancio, in giustiziacivile.com, n.9/2016, 8 settembre 2016;  F. Putaturo Donati, PA e contratti illegittimi: note critiche sul riconoscimento del danno (extra)comunitario, su Mass.giur.lav., 8-9, 2016, p.603-614.

[2] V. De Michele e S. Galleano, La sentenza “Mascolo” della Corte costituzionale sui precari della scuola, op.cit., su www.europeanrights.eu.

[3] Corte giust., Grande Sez., sentenza 22 novembre 2005, in causa C-144/04 Mangold, su Lav. giur., 2006, 5, 459, con nota di P.Nodari; in Foro it., 2006, IV, 341, con nota di V.Piccone e S.Sciarra, Principi fondamentali dell’ordinamento comunitario, obbligo di interpretazione conforme, politiche occupazionali; in Riv. it. dir. lav., 2006, 251, con nota di O.Bonardi, Le clausole di non regresso e il divieto di discriminazioni per motivi di età secondo la Corte di giustizia; in Riv. giur. lav., 2007, 205, con nota di L.Calafà, in Riv. crit. dir. lav., 2006, 387, con nota di A.Guariso; in Dir.  lav., 2006, (1-2), 3, con nota di A.Vallebona. Sulla sentenza Mangold cfr. anche G.Franza, La disciplina europea del lavoro a termine interpretata dal giudice comunitario, in Mass.giur.lav., 2006, p.230-234; L.Ciaroni, Autonomia privata e principio di non discriminazione, in Giur.it., 2006, p.1816-1822; L.Imberti, Il criterio dell’età tra divieto di discriminazione e politiche del lavoro, su Riv.it.dir.lav., 2008, 2, p.301-317; L. Cappuccio, Il caso Mangold e l’evoluzione della giurisprudenza comunitaria sul principio di non discriminazione, su Dieci Casi sui Diritti in Europa: uno strumento didattico, Bologna, 2011, p.111-124; A. D’Aloia, Il principio di non discriminazione e l’integrazione europea “attraverso” la Corte di giustizia: riflessi del caso Mangold, ivi, p.125-139; V. De Michele, Contratto a termine e precariato, op. cit., p.48-70; R. Cosio, I diritti fondamentali nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, in Riv.it.dir.lav., 2012, I, 311 ss.

[4] Corte giust. UE, II Sez., sentenza 10 marzo 2011, in causa C-126/99 Deutsche Lufthansa AG contro Gertraud Kumpan.

[5] Corte giust.Ue, III Sezione, sentenza 26 novembre 2014, in cause riunite  C-22/13, C-61/13, C-62/13 e C-418/13 Mascolo, Forni, Racca, Napolitano ed altri contro Miur, nonché C-63/13 Russo contro Comune di Napoli, con l’intervento di Cgil, Flc-Cgil e Gilda-Unams nella causa Racca C-63/13; su cui cfr. M. Aimo, I precari della scuola tra vincoli europei e mancanze del legislatore domestico, 2015, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT; L. Calafà, Il dialogo multilevel tra le Corti e la “dialettica prevalente”: le supplenze scolastiche al vaglio della Corte di giustizia, in Riv.it.dir.lav., II, 2015, 336 ss.; P. Coppola, Breve commento alla sentenza Mascolo della Corte di giustizia, 2015, in europeanrights.eu; M. De Luca, Un gran arrêt della Corte di giustizia dell’Unione europea sul nostro precariato scolastico statale: il contrasto con il diritto dell’Unione, che ne risulta, non comporta l’espunzione dal nostro ordinamento, né la non applicazione della normativa interna confliggente (prime note in attesa dei seguiti), in Lav.pp.aa., 2014, 499 ss.; V. De Michele, L’interpretazione “autentica” della sentenza Mascolo-Fiamingo della Corte di giustizia UE sulla tutela “energica” del lavoro flessibile alle dipendenze di datori di lavoro pubblici e privati, in europeanrights.eu, 10 gennaio 2015; id, La sentenza Mascolo della Corte di giustizia sul precariato pubblico e i controversi effetti sull’ordinamento interno, ibidem, 11 novembre 2015; F. Ghera, I precari della scuola tra Corte di giustizia, Corte costituzionale e Giudici comuni, in Giur.cost., 2015, 158 ss.; S. Galleano, La sentenza Mascolo sulla scuola rischia di avere effetti clamorosi per il precariato degli altri enti pubblici, in europeanrights.eu, 8 gennaio 2015; R. Irmici, La sentenza Mascolo della Corte di giustizia dell’Unione europea e lo strano caso del giudice del rinvio pregiudiziale che immette ma non converte, in Nov.dir.amm., 2015, 2, 177 ss.; L. Menghini, Sistema delle supplenze e parziale contrasto con l’accordo europeo: ora cosa succederà?, in Riv.it.dir.lav., 2015, II, 343 ss.; M. Miscione, Il Tribunale di Napoli immette in ruolo i precari della Pubblica Amministrazione, in Quot.giur., 5 gennaio 2015, n. 5; R. Nunin, «Tanto tuonò che piovve»: la sentenza “Mascolo” sull’abuso del lavoro a termine nel pubblico impiego, su questa Rivista, 2015, 146 ss.; A.M. Perrino, La Corte di giustizia come panacea dei precari?, in Foro it., 2014, II, 93 ss.; V. Pinto, Il reclutamento scolastico tra abuso dei rapporti a termine e riforme organizzative, in Lav.pubb.amm., 2015, 915 ss.; G. Santoro Passarelli, Contratto a termine e temporaneità delle esigenze sottostanti, in Arg.dir.lav., 2015, 189 ss.; N. Zampieri, Sulle conseguenze nel lavoro pubblico della violazione delle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 368/2001, in materia di assunzioni a tempo determinato, dopo le pronunce Affatato, Carratù, Papalia e Mascolo della CGUE, in Ris.um., 2015,  2, 213 ss.

[6] L’ordinanza del Tribunale di Trapani, Est. Petrusa, in causa C-494/16 è commentata da L. Busico, Le conseguenze dell’abuso del contratto termine da parte delle P.A.: una vicenda senza fine, su www.rivistalabor.it, 18 ottobre 2016.

[7] Corte giust. UE, X Sez., sentenza 14 settembre 2016, causa C-596/14 de Diego Porras contro Ministero de Defensia. Le questioni pregiudiziali sono state sollevate dal Tribunale superiore di giustizia di Madrid (Cassazione del lavoro spagnola). La causa pregiudiziale è durata poco meno di due anni, nonostante non vi sia stata trattazione orale né l’Avvocato generale Bobek ha depositato conclusioni scritte.

[8] Corte giust. UE, X Sez., sentenza 14 settembre 2016, cause riunite C-184/15 e C-195/15 Martínez Andrés contro Servicio Vasco de Salud e Juan Carlos Castrejana López contro Ayuntamiento de Vitoria. Le questioni pregiudiziali sono state sollevate dal Tribunale superiore di giustizia dei Paesi baschi. La causa pregiudiziale è durata 15 mesi, nonostante non vi sia stata trattazione orale né l’Avvocato generale Sharpston ha depositato conclusioni scritte.

[9] Corte giust. UE, III Sez., sentenza 14 settembre 2016, causa C-16/15 María Elena Pérez López contro Servicio Madrileño de Salud (Comunidad de Madrid). Le questioni pregiudiziali sono state sollevate dal Tribunale amministrativo n. 4 di Madrid. La causa pregiudiziale è durata 18 mesi, nonostante non vi sia stata trattazione orale né l’Avvocato generale Bobek ha depositato conclusioni scritte. Il giudice del rinvio aveva addirittura presentato istanza di giudizio accelerato ai sensi dell’art.105, comma 1, del Regolamento di procedura della Corte di giustizia, motivato dall’elevato numero di lavoratori ricorrenti ai quali avrebbe dovuto essere estesa la decisione della Corte europea e l’eventuale riqualificazione a tempo indeterminato dei rapporti a termine precari. Il Presidente della Corte di giustizia ha respinto l’istanza con ordinanza del 23 aprile 2015.

[10] Le tre sentenze “spagnole” della Corte di giustizia del 14 settembre 2016 sono commentate da C.Carta, Pubblico e privato pari sono: il contratto a tempo determinato nella giurisprudenza della CGUE, su www.rivistalabor.it, 18 ottobre 2016; nonché da V. De Michele, Le sentenze “spagnole” della Corte di giustizia Ue e la stabilizzazione del precariato pubblico in Italia e in Europa, su www.europeanrights.eu, novembre 2016.

[11] Cass., SS.UU., Pres. Rovelli, Est. Amoroso, sentenza 15 marzo 2016, n.5072, pubblicata su Mass.giur.lav., 8-9, 2016, p.590-607, con breve nota adesiva di A. Vallebona, Contratti a termine illegittimi nella p.a.: divieto di conversione e misura del danno, p.589-590; nonché con più ampia e condisivibile nota critica di F. Putaturo Donati, PA e contratti illegittimi: note critiche sul riconoscimento del danno (extra)comunitario, ibidem, p.603-614; sulla sentenza n.5072/2016 delle Sezioni unite v. in dottrina, M. De Luca, Alla ricerca del giusto risarcimento per illegittima apposizione del termine ai contratti di lavoro privatizzati alle dipendenze di amministrazioni pubbliche (non solo) della scuola, su cassazione.net, novembre 2016; P. Coppola, Corte di cassazione, Ss.Uu., sentenza n.5072/2016. Incertezze, dubbi, perplessità, su www.europeanrights.eu, 1 maggio 2016; S. Galleano, La  sentenza  5072/2016  sul  risarcimento  del  danno  per  abuso  del  precariato  nel settore pubblico – Le Sezioni unite della Cassazione nel paese delle meraviglie del 2 maggio 2016, in www.studiogalleano.it; C. Cordella, L’abusiva reiterazione di contratti temporanei: la non conversione nel regime «generale» del pubblico impiego privatizzato, in Lav.pp.aa., 2016, 667 ss.; M. Miscione, Nomofilachia, Sezioni Unite, “diritto vivente (leggendo la relazione 2016 del Primo Presidente della Cassazione), su Lav.giur., 2016, IV, 329-332; A. Paolitto, Il precariato scolastico tra “la buona scuola” e il dialogo “multilevel” delle Corti: l’occasione per un bilancio, op. cit.

[12] Corte giust. Ue, VI Sez., ordinanza 12 dicembre 2013, in causa C-50/13, Papalia contro Comune di Aosta, su Foro it., 2014, IV, 91, con nota di A.M. Perrino, La Corte di giustizia come panacea dei precari?. Sull’ordinanza Papalia v. Ales, Contratti a termine e pubbliche amministrazioni: quousque tandem, in Riv.it.dir.lav., 2014, II, 86 ss.; B. Cimino, Restano incerte le prospettive del precariato pubblico dopo l’ordinanza Papalia della Corte di giustizia, in Lav.pubbl.amm., 2014, II, 1033 ss.; V. De Michele, La sentenza “integrata” Carratù della Corte di giustizia sulla tutela effettiva dei lavoratori pubblici precari, in Lav.giur., 2014, 241 ss.; R. Nunin, Impiego pubblico, violazione delle regole sul contratto a termine e adeguatezza delle sanzioni: spunti recenti dalla Corte di giustizia, in Riv.giur.lav., 2014, II, 124 ss.

[13]  Cfr. Cassazione, S.L., sentenza 20 giugno 2012, n.10127, su Lav.giur., n.8-9, 2012, p.777 ss., con nota critica di V. De Michele, Il tribunale aquilano demolisce la sentenza antispread della Cassazione sul precariato scolastico, e con giudizio negativo di L. Menghini, La conversione giudiziale dei rapporti precari con le p.a.: cadono molte barriere, in Lav.giur., 2011, 12, p. 1239; nonché di F. Buffa, Il precariato scolastico e la tutela dei diritti nella disciplina e giurisprudenza comunitaria e nazionale, tra esigenze di specialità e principio di eguaglianza, Relazione n.190 del 24 ottobre 2012 dell’Ufficio del Massimario della Cassazione. Le argomentazioni della sentenza della Suprema Corte sono state invece condivise da L. Fiorillo, I conferimenti degli incarichi di supplenza nella scuola pubblica al vaglio della Cassazione: una normativa speciale in linea con la normativa europea sul contratto a termine, in Riv.it.dir.lav., 2012, II, 883 ss., nonché da A. Vallebona, I precari della scuola: una babele da arrestare, Mass.giur.lav., 2012, 305 ss. Sulla problematica del reclutamento scolastico e dei contratti successivi del personale docente supplente, v. A. Allamprese, I precari della scuola tra diritto interno e diritto dell’Unione europea, su Lav.pubbl.amm, 2011, 2, pp. 254-271.

[14] Est. De Simone.

[15] Su cui cfr. M. Miscione, Nomofilachia, Sezioni Unite, “diritto vivente” (leggendo la Relazione 2016 del Primo Presidente della Cassazione), op.cit., 329; nonché V. De Michele e S. Galleano, Le spese di giustizia nel giusto processo del lavoro tra legge e prassi amministrativa, su Lav.giur., 2016, n.8-9, 757.

[16] Cfr. per tutte Cass., S.L., Pres. Macioce, sentenza 7 novembre 2016, nn.22556.

[17] Michele De Luca, Presidente emerito della Cassazione, già titolare della Sezione lavoro, autorevolissimo e profondo conoscitore del diritto del lavoro dell’Unione europea e dei rapporti tra le fonti di diritto sovranazionali e nazionali.

[18] Si fa riferimento al Convegno organizzato dalla Fondazione Giuseppe Pera su “Riti e sapienza del diritto del lavoro. Fonti, valori, principi, regole”, tenutosi a Lucca presso il Convento di San Cerbone nei giorni 5 e 6 novembre 2016.

[19] M. De Luca, Alla ricerca del giusto risarcimento per illegittima apposizione del termine ai contratti di lavoro privatizzati alle dipendenze di amministrazioni pubbliche (non solo) della scuola, cit.

[20] Il dott. Giovanni Canzio è stato Presidente della Corte di appello di Milano fino al 7 gennaio 2016, quando è diventato Primo Presidente della Cassazione, carica che attualmente ricopre e ricoprirà fino al 31 dicembre 2017, grazie al d.l. n.168/2016 (c.d. decreto “ad Canzio”, secondo la definizione che ne ha dato il Presidente dell’ANM Davigo, su cui v. infra). La riorganizzazione “tabellare” dei processi “seriali” del lavoro nei confronti delle pubbliche amministrazioni presso la Sezione lavoro della Corte di appello di Milano, imposta dal dott. Canzio, darà la stura alla sentenza n.10127/2012 della Cassazione ed è stata commentata e duramente censurata da V. De Michele, Il Tribunale aquilano demolisce la sentenza antispread della Cassazione sul precariato scolastico, in Lav.giur., 2012, 777 ss. e da S. Galleano, La  sentenza  5072/2016  sul  risarcimento  del  danno  per  abuso  del  precariato  nel settore pubblico – Le Sezioni unite della Cassazione nel paese delle meraviglie del 2 maggio 2016, in www.studiogalleano.it, pag. 32.

[21] Trib. Trento, Est. Flaim, ordinanze nn. 283 e 284/2011; 31, 32, 91 e 130/2012.

[22] Trib. Roma, Est. Centofanti, ordinanze nn. 143 e 144/2012.

[23] Trib. Lamezia Terme, Est. Tizzano, ordinanze nn. 248 e 249/2012.

[24] Corte cost., Pres. Gallo, Est. Mattarella, ordinanze 18 luglio 2013, nn. 206 e 207. Sull’ordinanza di rinvio pregiudiziale della Corte costituzionale, cfr. U. Adamo, Nel dialogo con la Corte di giustizia la Corte costituzionale è un organo giurisdizionale nazionale anche nel giudizio incidentale. Note a caldo sull’ord. n. 207/2013, in www.forumcostituzionale.it, 24 luglio 2013; A. Adinolfi, Una “rivoluzione silenziosa”: il primo rinvio pregiudiziale della Corte costituzionale italiana in un procedimento incidentale di legittimità costituzionale, in Riv.dir.int., 2013, n.4, p.1249; A. Celotto, Il completamento degli “strumenti di dialogo” tra Corte costituzionale e Corte di Lussemburgo, in www.giustamm.it, 2013, n.12; A. Cerri, La doppia pregiudiziale in una innovativa decisione della Corte, in Giur.cost., 2013, n.4, p.2897; V. De Michele, L’ordinanza “Napolitano” di rinvio pregiudiziale Ue della Corte costituzionale sui precari della scuola: la rivoluzione copernicana del dialogo diretto tra i Giudici delle leggi nazionali ed europee, in Id., Il dialogo tra Corte costituzionale e Corte di giustizia sui diritti dei lavoratori nel pubblico impiego, in absentia legum et contra legem, in www.europeanrights.eu, 2015; A. Denuzzo, La Corte costituzionale e il rinvio pregiudiziale nella vicenda dei marchi territoriali pubblici di qualità per la valorizzazione dell’economia rurale, in www.giurcost.org, 2014; G. Diotallevi, La crisi finanziaria europea e i diritti dei cittadini, in Quest.giust., 2014, n.1, p.103; T. Guarnier, Rinvio pregiudiziale interpretativo e giudizio di legittimità costituzionale. Nuovi scenari e nuove prospettive nel crocevia sopranazionale, in Dir.soc., 2013, n.2, p.237; B. Guastaferro, La Corte costituzionale ed il primo rinvio pregiudiziale in un giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale: riflessioni sull’ordinanza n. 207 del 2013, in www.forumcostituzionale.it, 2013; MP. Iadicicco, Il precariato scolastico tra Giudici nazionali e Corte di Giustizia: osservazioni sul primo rinvio pregiudiziale della Corte costituzionale italiana nell’ambito di un giudizio di legittimità in via incidentale, in www.associazionedeicostituzionalisti.osservatorio.it, 2014; E. Lamarque, Le relazioni tra l’ordinamento nazionale, sovranazionale e internazionale nella tutela dei diritti, in Dir.pubbl., 2013, n.3, p. 727; M. Losana, La Corte costituzionale e il rinvio pregiudiziale nei giudizi in via incidentale: il diritto costituzionale (processuale) si piega al dialogo tra le Corti, in www.associazionedeicostituzionalisti.rivista.it, 2014, n.1; E. Lupo, L’evoluzione del dialogo tra le Corti, in Quest.giust., 2014, n.1, p.33; L. Menghini, Riprende il dialogo tra le Corti superiori: contratto a termine e leggi retroattive, su Riv.giur.lav., 2013, 4, p.425; Id., Dialogo e contrasti tra le Corti europee e nazionali: le vicende del personale ATA non sono ancora terminate, in Lav.giur., 2014, n.5, p.455; A.M. Perrino, Nota e Corte cost., ord. n. 207/2013, in Foro it., 2013, I, p.3059; L. Pesole, Un altro passo avanti nel percorso: la Corte costituzionale rinvia alla Corte di Giustizia in un giudizio in via incidentale, in www.federalismi.it, 2013, n.25; G. Repetto, I mutevoli equilibri del rinvio pregiudiziale: il caso dei precari della scuola e l’assestamento dei rapporti tra Corte costituzionale e Corte di Giustizia, in www.diritticomparati.it, 2014; Id., La Corte costituzionale effettua il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE anche in sede di giudizio incidentale: non c’è mai fine ai nuovi inizi, in www.dirittocomparati.it, 2013; A. Ruggeri, I rapporti tra le Corti e tecniche decisorie, a tutela dei diritti fondamentali, in Quest.giust., 2014, n.1, p. 53; C. Salazar, La Corte costituzionale bussa ancora alle porte della Corte di giustizia dell’Unione europea: brevi note interno alla questione pregiudiziale sui docenti precari nella scuola pubblica, in www.confronticostituzionali.eu, 2013; Id., Crisi economica e diritti fondamentali – Relazione al XXVIII convegno annuale dell’Aic, in www.rivistaaic.it, 2013, n.4; L. Saltari, La precarietà del lavoro nella scuola italiana nel difficile dialogo tra le Corti, in Giorn.dir.amm., 2015, n.2, p.219; G. Tesauro, Il lavoro delle Corte – Anche le Corti cambiano, in Quest.giust., 2014, n.1, p.39; L. Trucco, L’uso fatto della Carta dei diritti dell’Unione nella giurisprudenza costituzionale (2000-2015), in www.giurcost.org, 2016, n.1; L. Barretta Uccello, La Corte costituzionale e il rinvio pregiudiziale nel giudizio in via incidentale, in www.associazionedeicostituzionalisti.osservatorio.it, 2013.

[25] Corte giust., II Sezione, sentenze 7 settembre 2006, cause C-54/04 Marrosu-Sardino e C-180/04 Sardino contro Azienda Ospedaliera S.Martino di Genova; su cui cfr. A.Miscione, Il contratto a termine davanti alla Corte di giustizia: legittimità comunitaria del d.lg. n. 368 del 2001, in Arg. dir. lav., 2006, 6, 1639; L.Nannipieri, La Corte di giustizia e gli abusi nella reiterazione dei contratti a termine: il problema della legittimità comunitaria degli artt. 5, d. lgs. n. 368/2001 e 36, d. lgs. n. 165/2001, su Riv.it.dir.lav., 2006, II, p.742-764; L.Zappalà, Abuse of Fixed-Term Employment Contracts and Sanctions in the Recent ECJ’s Jurisprudence, Giorn.rel.ind., 2006, p.439-444; G.Franza, Lavoro a termine: è ormai completa l’interpretazione della direttiva, Mass.giur.lav., 2006, p.752-755; A.M.Perrino, Perplessità in tema di contratto di lavoro a termine del pubblico dipendente, su Foro it, 2007, IV,  Col.75-81; L. De Angelis, Il contratto di lavoro a termine nelle pubbliche amministrazioni alla luce della giurisprudenza comunitaria: spunti di riflessione, su Foro it., 2007, IV, Col.344-348; V. De Michele, Contratto a termine e precariato, 2009, Milano, Ipsoa, p.173-177; S.Sciarra, Il lavoro a tempo determinato nella giurisprudenza della Corte di giustizia europea. Un tassello nella “modernizzazione” del diritto del lavoro, relazione su Il giudice del lavoro e le fonti comunitarie ed internazionali, Roma, 17 gennaio 2008, Incontro di studio CSM, p. 12-16.

[26] Corte giust., VIII Sez., ordinanza 1 ottobre 2010, causa C-3/10 Affatato c. ASL Cosenza; su cui cfr.. V. De Michele, La giurisprudenza della Corte di Giustizia nel 2010 e l’interpretazione “infinita” sul contratto a termine, op.cit., p.459 ss.; W.Ferrante, Il divieto di conversione a tempo indeterminato dei contratti a termine nel pubblico impiego, in Rass.Avv.Stato, 2011, 2, I, p.12; A.M.Perrino, Nota a ordinanza Affatato della Corte di giustizia, su Foro it., 2011, IV, 69; N.Zampieri, Il rapporto di lavoro a termine, la sentenza Affatato e il Collegato lavoro in Ris.um., 2011, 1, p.138 ss.

[27] Cfr. A.M. Perrino, Nota a ordinanza Affatato della Corte di giustizia, su Foro it., 2011, IV, 69.

[28] Cfr. Cass., S.L., Pres.Macioce, Est. Di Paolantonio, sentenza 7 novembre 2016, n.22558.

[29] Corte giust. CE, III Sez., sentenza 23 aprile 2009, in cause riunite da C-378/07 e C-380/07 Angelidaki ed altri contro Organismos Nomarchiakis Autodioikisis Rethymnis; su cui cfr. V. De Michele, Contratto a termine e precariato,  cit., p.75-81; M. Miscione, La Corte di giustizia sul contratto a termine e la clausola di non regresso, in Lav. giur., 2009, p. 437; L.Driguez, Retour sur les clauses de non régression, in Europe 2009, Juin, Comm. nº 235, p.25-26; C.Kerwer, Verschlechterungsverbote in Richtlinien,  in Europäische Zeitschrift für Arbeitsrecht, 2010, p.253-265.

[30] Corte di giustizia Ue, II Sezione, sentenza 26 gennaio 2012, in causa C-586/10 Kücük contro Land Nordrhein Westfalen.

[31] Sul punto v. V. De Michele e S. Galleano, Le spese di giustizia nel giusto processo del lavoro tra legge e prassi amministrativa, op.cit., 761.

[32] Est. F. Buffa.

[33] Corte giust. CE, Grande Sez., sentenza 4 luglio 2006, causa C-212/04 Konstantinos Adeneler et al. c. Ellinikos Organismos Galaktos (ELOG). Sulla sentenza Adeneler v. L. De Angelis, Il contratto di lavoro a termine nelle Pubbliche Amministrazioni alla luce della giurisprudenza comunitaria: spunti di riflessione, in Foro it, 2007, IV, 344 ss.; V. De Michele, Contratto a termine e precariato, op. cit., 48-70; G. Franza, Lavoro a termine: è ormai completa l’interpretazione della direttiva, in Mass.giur.lav., 2006, 752 ss.; L. Menghini, Precarietà del lavoro e riforma del contratto a termine dopo le sentenze della Corte di Giustizia, in Riv.giur.lav., 2006, I, 698 ss.; L. Montuschi, Il contratto a termine e la liberalizzazione negata, in Dir.Rel.Ind., 2006, 610 ss.; L. Nannipieri, La Corte di giustizia e gli abusi nella reiterazione dei contratti a termine: il problema della legittimità comunitaria degli artt. 5, d. lgs. n. 368/2001 e 36, d.lgs. n. 165/2001, in Riv.it.dir.lav., 2006, II, 742 ss.; A.M. Perrino, Perplessità in tema di contratto di lavoro a termine del pubblico dipendente, in Foro it, 2007, IV, 75 ss.; G. Sottile, Sanzioni per il contratto a termine nel lavoro pubblico e Corte di Giustizia Europea, in Dir.lav.merc., 2007, 131 ss.; L. Zappalà, Abuse of Fixed-Term Employment Contracts and Sanctions in the Recent ECJ’s Jurisprudence, Ind. Law. Journal, 2006, 439 ss..

[34] Cfr. Rass.Avv. Stato, n.2, aprile-giugno 2010, punto 60, pp.126-127.

[35] Est. Coppola.

[36] Cfr. V. De Michele, Il dialogo tra Corte di giustizia e Giudice nazionale in tema di precariato pubblico, su Riv.giur.lav., 2012, n.4, 755.

[37] Ufficio del Massimario della Cassazione, Rel. I. Fedele, relazione n.137 del 21 ottobre 2015, pubblicata su ItalGiureWeb – 10/11/15.

[38] Corte giust., Sez. I, Pres.Est. Tizzano, sentenza 6 novembre 2012 in causa C-286/12 Commissione europea contro Ungheria.

[39] Sul punto cfr. F. Putaturo Donati, PA e contratti illegittimi: note critiche sul riconoscimento del danno (extra)comunitario, op.cit., p.605.

[40] Nel Plenum del CSM che ha deciso la nomina del dott. Canzio vi sono stati due astenuti, i due astenuti Aschettino e Morosini, che hanno voluto ribadire che la scelta di Canzio risulta «non in sintonia con la ratio delle proroghe concesse ai magistrati settantenni e di non facile lettura sul piano della funzionalità del sistema». La vicenda del commissariamento della Corte di Milano – Sezione lavoro conferma la sensazione dei due componenti togati di Magistratura democratica.

[41] Cass., SS.UU., Pres. Rordorf, Est. Curzio, sentenza 31 maggio 2016, n.11374.

[42] Cass., SS.UU., Pres. Rordorf, Est. Curzio, sentenza 27 ottobre 2016, n.21691.

[43] Corte giust. UE, III Sez., sentenza 12 dicembre 2013, in causa C-361/12 Carratù contro Poste italiane. Sulla sentenza Carratù cfr. V. De Michele, Per grazia ricevuta ecco il Jobs act n. 1: la precarietà lavorativa diventa regola sociale… a termine, in Lav.prev.oggi,  2014, 372 ss., nonché Il dialogo tra Corte di giustizia, Corte europea dei diritti dell’uomo, Corte costituzionale e Corte di Cassazione sulla tutela effettiva dei diritti fondamentali dei lavoratori a termine: la sentenza Carratù-Papalia della Corte del Lussemburgo, in I quaderni europei – Scienze giuridiche, 2014, n.60,  1-228; L. Menghini, Dialogo e contrasti tra le Corti europee e nazionali: le vicende del personale ATA non sono ancora terminate, in Lav.giur., 2014, 463-465 ss.; P. Coppola, I recenti interventi legislativi sul contratto a termine. A forte rischio la tenuta eurounitaria del sistema interno, in WP CSDLE, n. 198; R. Nunin, Impiego pubblico, violazione delle regole sul contratto a termine e adeguatezza delle sanzioni: spunti recenti dalla Corte di giustizia, in Riv.giur.lav., 2014, II, 124 ss.; M. Lughezzani, Il principio di parità di trattamento nella dir. 99/70/CE e le sue ricadute sugli ordinamenti interni, in Riv.it.dir.lav., 2014, II, 487 ss.; S. Guadagno, Evoluzione dei regimi risarcitori per il lavoro a termine, parità di trattamento e non regresso, in Arg.dir.lav., 2014, 682 ss.; S.L. Gentile, Corte di giustizia e contratto a termine: la legittimità dell’indennità forfettizzata e la natura di ente pubblico delle società partecipate dallo Stato, in Riv.it.dir.lav., 2014, II, 479 ss.

[44] La vicenda, con particolare riferimento al Primo Presidente della Cassazione, è ben descritta da B.Manfellotto, Un supermagistrato più uguale degli altri, su L’Espresso, 6 novembre 2016, p.38.

[45] L’art.5 del d.l. n.168/2016, convertito con modificazioni dalla legge n.197/2016, così dispone: «1. Al fine di assicurare la continuità negli incarichi apicali, direttivi superiori e direttivi presso la Suprema Corte di cassazione e la Procura Generale della Corte di cassazione, in ragione delle molteplici iniziative di riforma intraprese per la definizione dell’elevato contenzioso ivi pendente, gli effetti dell’articolo 1, comma 3, del  decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, sono ulteriormente differiti al 31 dicembre 2017 per i magistrati che ricoprono funzioni apicali, direttive superiori o direttive presso la Suprema Corte di cassazione e la Procura Generale, i quali non abbiano compiuto il settantaduesimo anno di età alla data del 31 dicembre 2016 e che debbano essere collocati a riposo nel periodo compreso fra la medesima data del 31 dicembre 2016 e il 30 dicembre 2017. Per tutti gli altri magistrati ordinari resta fermo il termine ultimo di permanenza in servizio stabilito dal citato articolo 1, comma 3, del decreto-legge n. 90 del 2014.».

[46] Corte cost., Pres. Elia, Est. Roehrseen, sentenza 7 aprile 1983, n.81.

[47] Corte cost., Pres. Casavola, Est. Baldassarre, sentenza 27 maggio 1993, n.266.

[48] L’art.1, comma 131, della legge n.107/2015 così dispone: «A decorrere dal 1º settembre 2016, i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati con il personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario presso le istituzioni scolastiche ed educative statali, per la copertura di posti vacanti e disponibili, non possono superare la durata complessiva di trentasei mesi, anche non continuativi».

[49] La Corte di giustizia al punto 89 della sentenza Mascolo così descrive il sistema di reclutamento scolastico nazionale: «Nel caso di specie si deve, in via preliminare, rilevare che dalle ordinanze di rinvio e dalle spiegazioni fornite in udienza risulta che, in forza della normativa nazionale di cui trattasi nei procedimenti principali, come prevista dalla legge n. 124/1999, l’assunzione di personale nelle scuole statali ha luogo sia a tempo indeterminato tramite l’immissione in ruolo sia a tempo determinato mediante lo svolgimento di supplenze. L’immissione in ruolo si effettua secondo il sistema cosiddetto «del doppio canale», ossia, quanto alla metà dei posti vacanti per anno scolastico, mediante concorsi per titoli ed esami e, quanto all’altra metà, attingendo alle graduatorie permanenti, nelle quali figurano i docenti che hanno vinto un siffatto concorso senza tuttavia ottenere un posto di ruolo, e quelli che hanno seguito corsi di abilitazione tenuti dalle scuole di specializzazione per l’insegnamento. Si è fatto ricorso alle supplenze attingendo alle medesime graduatorie: la successione delle supplenze da parte di uno stesso docente ne comporta l’avanzamento in graduatoria e può condurlo all’immissione in ruolo

[50] Corte di giustizia Ue, VI Sezione, sentenza 18 ottobre 2012, in cause riunite da C-302/11 a C-305/11 Valenza ed altri contro Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Le questioni pregiudiziali sono state sollevate dal Consiglio di Stato (Pres. Coraggio, Est. De Nictolis).

[51] Così conclude la Commissione Ue nelle osservazioni scritte della causa Papalia C-50/13: «L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999 n. 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che si oppone ad un regime nazionale che subordini a condizioni di prova discriminatorie rispetto ad altre analoghe fattispecie di diritto interno o, comunque, eccessivamente onerose il risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine tramite il ricorso abusivo ad una successione di contratti a tempo determinato, ove il risarcimento del danno sia la sola misura prevista dall’ordinamento interno per prevenire e reprimere tale abuso. Spetta al giudice nazionale verificare se tali condizioni ricorrano nel caso di specie.».

[52] Così precisa la Corte di giustizia ai punti 92-93 della sentenza Mascolo: «92 A tale riguardo, occorre, innanzitutto, ricordare che, nell’ambito di un’amministrazione che dispone di un organico significativo, come il settore dell’insegnamento, è inevitabile che si rendano spesso necessarie sostituzioni temporanee a causa, segnatamente, dell’indisponibilità di dipendenti che beneficiano di congedi per malattia, per maternità, parentali o altri. La sostituzione temporanea di dipendenti in tali circostanze può costituire una ragione obiettiva ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, che giustifica sia la durata determinata dei contratti conclusi con il personale supplente, sia il rinnovo di tali contratti in funzione delle esigenze emergenti, fatto salvo il rispetto dei requisiti fissati al riguardo dall’accordo quadro (v., in tal senso, sentenza Kücük, EU:C:2012:39, punto 31). 93 Tale conclusione si impone a maggior ragione allorché la normativa nazionale che giustifica il rinnovo di contratti a tempo determinato in caso di sostituzione temporanea persegue altresì obiettivi di politica sociale riconosciuti come legittimi. Infatti, come risulta dal punto 87 della presente sentenza, la nozione di «ragione obiettiva» che figura alla clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro comprende il perseguimento di siffatti obiettivi. Orbene, misure dirette, in particolare, a tutelare la gravidanza e la maternità nonché a consentire agli uomini e alle donne di conciliare i loro obblighi professionali e familiari perseguono obiettivi legittimi di politica sociale (v. sentenza Kücük, EU:C:2012:39, punti 32 e 33 nonché giurisprudenza ivi citata).».

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